R Recensione

7,5/10

Paolo Recchia

Peace Hotel

La ricerca del suono, di una propria voce timbrica quale segno distintivo, è uno degli obiettivi di tutti coloro che praticano il jazz. Un po’ come la voce per ogni individuo, la possibilità di distinguere alle prime note un musicista da un altro, è basata sulle caratteristiche dell’emissione sonora. Paolo Recchia, giovane altosassofonista laziale qui alla terza prova solista, dopo il riuscito “Three for Getz” del 2014, pare avere da tempo trovato la propria “voce”, un canto morbido ma pieno, con le “parole” (le note) perfettamente scandite, in grado di emozionare senza concedere nulla all’enfasi ed al sentimentalismo. Essenziale. La sua produzione musicale sembra il frutto di una disciplina rigorosa, che s’ immagina applicata per anni allo studio dello strumento, abbinata ad una gioiosa visione della vita. Ha scelto di entrare nel mondo del jazz da una porta che non è fra le più esposte, un trio che affida tutta la componente ritmica ed armonica alla chitarra di Enrico Bracco ed al contrabbasso di Nicola Borrelli, e con il procedente lavoro ha dimostrato di potersi confrontare con un gigante del cool jazz come Getz. In questo nuovo “Peace Hotel” il panorama si amplia a composizioni autografe dei tre componenti, e l’identità del gruppo diviene più nitida, sia nell’equilibrio paritario degli strumenti, che in una scelta stilistica rispettosa della tradizione, ma attenta anche alle nuove frontiere del linguaggio jazz.

Si interpreta così una scaletta che, mettendo in fila classici standards di autori come Coltrane, Lennie Tristano o Cole Porter, con quattro composizioni autografe (due di Recchia ed una a testa per i partner) assume ad un tempo il tono di omaggio e di distacco verso nuovi orizzonti. Fra gli standards, “Gone with the wind“, che con il celeberrimo film condivide solo il titolo, introduce il lavoro definendone i confini, quelli di un jazz rilassato e ricco di sfumature, come il solo di Bracco costruito con mirabile senso architettonico, e costruito sulla capacità di interplay fra i componenti del trio. Quindi, “Central park west”, la ballad di John Coltrane, qui riletta con un tempo dispari e l’invenzione della parte finale, “517 East 32nd street “ di Lennie Tristano, con larghe sezioni soliste di sax e chitarra, “I remember you” scritta da Johnny Mercer e Victor Schertzinger, ed, in conclusione, una versione di “Everytime we say goodbye” di Cole Porter, inevitabilmente toccante, ma non enfatica. Gli originali spaziano fra la ballad sospesa e distillata di “Peace hotel”, che può richiamare l’estetica ECM, il tema elastico e brillante di “Sman”, la delicata “Emmanina” e la crepuscolare “Post Aurum”, firmata da Nicola Borrelli. L’incisione presso i romani Groovefarm studios a cura di Davide Abruzzese è un valore aggiunto del lavoro, in grado di esaltare i particolari e la presenza degli strumenti e documentare nel modo migliore la capacità di scambio ed ascolto fra i musicisti. Per il trio di Paolo Recchia un lavoro che costituisce un notevole passo avanti e la premessa per un ruolo di rilievo nel ricco panorama jazz italiano.

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