Janelle Monae
The Electric Lady
Torna a passo di danza una danza frenetica, totale, apocalittica come recitano i titoli Janelle Monae, fasciata nei suoi iconici e fumettistici smoking bianchi e neri, gli occhiali scuri e stravaganti, le volute sempre più ardite della crespa pettinatura, accompagnata dalla carica ritmica delle sue Electric Girls, replicanti dalla sensualità polimorfa e misteriosa. Torna a tre anni di distanza da un opera monstre come The ArchAndroid, uno degli album più originali, spiazzanti e musicalmente opulenti degli ultimi ventanni non solo di black music ma della musica pop in senso generale. Torna nei panni del suo alter ego Cindy Mayweather, androide angelico/femminino, ribelle e prometeico, sceso sulla terra con la sua astronave funkadelica per portare allumanità, attraverso la musica, un messaggio di pace, amore e speranza. Torna, infine e soprattutto, con un nuovo album intitolato The Electric Lady a proseguire lideale trilogia concettuale cominciata con lep Metropolis: Suite I (The Chase) (del 2007, addirittura) e sviluppata poi in tutta la sua magnificenza nel suddetto The ArchAndroid.
Un lavoro forse meno caleidoscopico ed eclettico del predecessore, più calibrato e qua e là magari anche un po manierista, ma ancora una volta miracolosamente sorretto da un livello di scrittura, produzione ed esecuzione che definire elevato è un eufemismo. Assistita al meglio dalla produzione firmata da Sean Diddy Combs e Big Boi e dallapporto insostituibile del duo di coautori Deep Cotton e Roman GianArthur, la Monae gioca camaleontica con le contaminazioni sonore che meglio riflettono la sua plastica personalità e continua a sfidare ogni definizione critica, al punto che persino il volenteroso recensore dovrà, alla resa, riconoscere che quelle che meglio descrivono la sua musica sono quelle che lei stessa dà di se in versi come electro-sophisti-funky lady (con flow e metrica perfetti, per di più) o, facendo chissà il verso a Madonna, an electric lady from the electric world, come dire: pura energia in perpetuo movimento che assume forme diverse nello spazio e nel tempo, allinsegna della teoria della relatività.
Un flusso costante di energia musicale, come una suite articolata in brani dal formato più o meno regolare, che ha negli anni 80 e in un ipotetico, mimetico cyber-soul il suo riferimento retrofuristico, come un presente astratto e senza fine, unisola virtuale, un passaggio dimensionale che le permette di accedere di volta in volta al passato o al futuro attraverso le curve delluniverso pop. Un crogiuolo di sonorità che si modellano anche utilizzando unattenta strategia di partecipazioni e collaborazioni (Prince, Erykah Badu, Solange e Miguel, i nomi più celebrati e significativi), mai fine a se stesse ma, cosa sempre più rara, perfettamente armonizzate con la natura e lo sviluppo dei brani che le ospitano. Così, una volta sollevato il sipario con louverture cinematica e bondiana di Suite IV, lascoltatore viene subito risucchiato nel remake di un Prince dannata (con Prince stesso fra gli interpreti che ci omaggia dun sontuoso assolo di chitarra) di Give Em What They Love, costellata di rimandi sia musicali che metatestuali a brani come Darling Nikki; pure al genio di Minneapolis e alla colonna sonora di un immaginario filmone damore anni 80 (qualcosa tra Fiori dAcciaio e Ufficiale Gentiluomo) viene in qualche modo da pensare ascoltando il pathos e leleganza smooth soul di Primetime, impreziosita dal bel duetto con Miguel, dagli archi sintetici della Wondaland ArchOrchestra e dalle sgargianti parti di chitarra. Viceversa, nella fiammeggiante Q.U.E.E.N. assistiamo al fortunato incontro con Erykah Badu, laltra regina del neo-soul (o sarebbe più corretto dire post soul, il soul dellavvenire come ci permettemmo di battezzare quello di Erykah qualche anno fa) degli anni duemila, in un brano ricco di variazioni che parte come un p-funk, concede un languido stacco jazzy alla Badu verso metà e chiude con un combat soul rappato dalla stessa Monae in un testo che rivendica e sbandiera il diritto allambiguità, alla diversità artistica e personale delle due regine; tutto questo mentre il singolo più pompato e contagioso Electric Lady sembra la versione intelligente e strutturalista dei vari blockbuster delle varie Beyoncè, idealmente doppiato proprio dalla brava sorella di questultima Solange.
Ma è lintero album, nonostante la lunghezza complessiva, a snodarsi con sinuosa e sorprendente freschezza, assecondando la vitalità e le bizzarrie del concept e la vocalità proteiforme della sua interprete principale. Così al netto di qualche passaggio un po compiaciuto (il neo-soul anthemico di Victory, su cui a tratti sembra aleggiare - ma magari è solo unimpressione - il fantasma vocale della Winehouse), la Monae si libra con disinvoltura pirotecnica fra l esotismo pop da musical anni 40 di Look Into My Eyes e il lounge-jazz sempre hollywoodiano di Dorothy Dandridge Eyes, punteggiato dallo scat latino di Esperanza Spalding, si fionda alla sua maniera nel revival disco in voga questanno con We Were RocknRoll, fa resuscitare anche i morti nel giorno del giudizio con il girl-group afrofuturista di Dance Apocalyptic, fra zombie e scenari presi dai videgiochi arcade del solito decennio di cui sopra, un decennio a cui si deve anche lomaggio alla giovane madre coraggiosa e lavoratrice e alla propria infanzia nel proletariato nero in Ghetto Woman. Poi, dulcis in fundo, abbatte gli ultimi steccati che separano i generi musicali nella sua fervida immaginazione con Sally Ride: l'impronta black che si ibrida con una sorta folk barocco ed orchestrale e un coro classico, quasi pastorale, con le chitarre sature ed alate al limite dellAOR. Sebbene sopraffatti da tanta ricchezza musicale, vale la pena spendere due parole anche sui testi della Monae, dove le rime in stile hip-hop e luso del gergo afroamericano si aprono, talvolta, a versi dal nitore classico, a tratti quasi shakespeariano come Like a rose in the cold, Will i rise? da Sally Ride o il declamato Red rose petals falling slowly through the sunny air/ Orange clouds, pink moons on the tongue of the sun alla fine di Dorothy Dandrige Eyes, rivelando un lirismo particolarissimo e conturbante.
The Electric Lady, in conclusione, è la ridondante, ipnotizzante conferma dellimmenso talento della Monae che, lungi dal disperdersi o livellarsi, sembra incanalarsi in un formato presumibilmente più accessibile al grande pubblico, impressione che le eccellenti vendite della prima settimana di uscita parrebbero confermare.
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