R Recensione

7,5/10

Bilal

In Another Life

Bilal l'inafferrabile: più cerchi d'incasellarlo o rinchiuderlo in compartimenti stagni, più gioca a spiazzarti. Bilal il provocatore concettuale: il nu-soul come pretesto per intavolare un discorso sulla pop music in generale, “nera” o meno che sia. Bilal il temerario: un altro disco che, in quanto a vendite, sarà la solita pippa. Bilal oggi più che mai musicista jazz nello spirito e nella lettera: “Voglio fare musica che confonda il computer”, che tradotto significa chiamare a rapporto Adrian Younge, compositore/produttore trasversale come può esserlo uno che ha lavorato sia con Jay-Z sia coi redivivi Delfonics (quindi parecchio), e affidargli metà della “colpa” per l'ennesimo scorcio di futuribile goduria.

Pullulante di suoni astrusi, graffi psichedelici, atmosfere sci-fi (il dittico iniziale Sirens II / Star Now), “In Another Life” è l'album schizofrenico di Mr. Oliver. Ciò nonostante risulta godibilissimo, persino più avvincente del predecessore “A Love Surreal”. La produzione è ondivaga (i piatti tramutati in vortici di sabbia, sempre su Star Now, incorniciano un parte di batteria come avrebbe potuto concepirla RZA), salmastra, cigolante, e il paradosso che un simile risultato lo si ottenga forzando il dato “analogico”, esasperandone l'asprezza, trasfigurando il live playing a tal punto da farlo suonare extraterrestre, fa' riflettere sulle possibilità che si aprirebbero anche in cambo puramente new r&b utilizzando simili procedure. Innumerevoli gli stili caduti in questa trappola percettiva: bossanova (Open Up The Door), lounge-jazz (I Really Don't Care), electro-funk (Pleasure Toy, il capolavoro che il Folletto di Minneapolis si sogna da tipo una ventina d'anni), psych-rock (Lunatic e le sue tante anime), baroque-pop (Love Child e le sue tante finezze in fatto di arrangiamento).

Scrittura e canto danno manforte al mixing, ma se la sfuggente complessità della prima (illuminante Spiraling) non è una novità, il secondo sfocia in una pazzia never heard before (almeno su disco). Su Lunatic Bilal sbraita disarticolato quanto un Jonathan Davis (Korn) cresciuto con James Brown come nume tutelare in luogo di Simon Le Bon, pur non rinunciando a quei tocchi melodici capaci di renderlo un unicum nel panorama nu-soul (e a questo punto del pop-rock tutto). Altezza, registro e impostazione mutano nel giro di pochi secondi all'interno della medesima canzone (Money Over Love, con featuring di Kendrick Lamar e rimandi a Max Roach, sorta di mini-operetta blaxploitation ambientata nel 2030), per non dire dello stesso verso (l'apertura della seconda strofa di Love Child, con effetti sconcertanti).

Mille le voci (esagero...) come mille i volti , camuffamenti ad hoc ora rievocanti - forse in senso collagistico o “post-qualcosa”, ma trattasi di sensazione - l'icona smooth soul per eccellenza Barry White (la copertina di Money Over Love), ora il sempreverde afrofuturismo di Sun Ra (cover e retro dell'album), a tratti collimante col gigionesco (lo stregone dalle sembianze mostruose che campeggia sulla cover di Satellites). Eppure Bilal pare piuttosto serio nel descrivere l'avvenuto mutamento di prospettiva rispetto al precedente “A Love Surreal”: “With this album, I take a step back. I am moving away from the surrealism in my last album to explore the reality of the time”. Alcuni hanno voluto leggere, in queste parole, il tentativo di allinearsi al “black pride” che in tempi recenti ha attecchito definitivamente tra la critica e il pubblico indie, ma siffatta interpretazione non trova riscontro nei testi delle canzoni e soprattutto ignora come già in precedenza il musicista di Philly abbia affrontato tematiche analoghe (vedasi le istantanee distopiche di  "Airtight's Revenge"). La verità è che su “In Another Life” Bilal approccia il songwriting armato di sarcasmo (You took the rain / She closed her eyes and called his name / The oceans crashed, the thunder came / She fell into his arms / A virgin’s tears rode from her eyes / But all he could think about was pussy” da Star Now), e quando affronta il tema sociale lo fa' prediligendo la fiction, l'arte dello storytelling, distanziandosi quindi dalla materia (“Just another day / In another life on the satellite / Watching the world / Watch people as they / Do what they do to people” da Satellites ) e soprattutto osservando l'umanità nel suo complesso, senza filtri razziali.

E' un Bilal sovraeccitato, questo sì (il duetto d'innamorati stoned su Holding It Back con ottima presenza di Kimbra), sempre “inedito”, e che soprattutto non riesce a pensare alla sua opera in termini di “genere” o “categoria”. Si ascoltino i più o meno recenti live, dove alterna jazz, avant-r&b, cover di Yes, Radiohead e Led Zeppelin, a riprova della natura sostanzialmente “progressiva” del suo discorso musicale. Ancora una volta, le classifiche non lo tangono nè gli interessano: outsider era e outsider resta. D'altronde non puoi cambiare chi sei, ergo ti adegui, anche se significa rinunciare a una parte importante del tuo percorso. Lo diceva già un lustro fa in Who Are You, uno dei suoi brani più rappresentativi: “When the band stops playin' and the lights go down / And the butcher man is gone and your friends ain't around / Crawlin' on home but it's early in the mornin' / And your thoughts won't stop but it's too late to get away / Do you think about the good times or do you think about the bad? / Do you let it get to you? Can't you just let it go / Tell me, can you let it go?”. Venire a patti pure con la solitudine, lasciarsi le brutte esperienze alle spalle perchè tanto non puoi cambiare il tuo inner self. Cosa ci spinge a farci del male? Non ne ho idea, ma di sicuro è la stessa cosa che ci spinge a vivere.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Cas 7,5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 19:49 del 7 agosto 2015 ha scritto:

Splendida recensione per l'ennesimo lavoro meravigliosamente (s)centrato da Bilal. Il mio brano preferito è forse il reggato e sinistro "Love Child", ma davvero vedo poco fuori posto. Splendido anche il featuring con Lamar.

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 17:39 del 15 settembre 2015 ha scritto:

sempre ottimo Bilal.

vero, album schizofrenico ma, almeno nella prima metà, particolarmente posato.

ormai lui è proprio una garanzia!