Janelle Monàe
The Archandroid
Champagne, sorrisi e ritmo. Ma anche distensioni favoleggianti, visioni futuriste e tanta, tanta ovatta (o bolle di sapone, peluche pacioccosi, saccarosio, il mio gatto che fa le fusa, fate voi). Lasciate ogni pregiudizio "voi ch’entrate", e pure le targhette (delle magliette): si certo, possiamo parlare di funky-dance, r'n'b, soul, indie-pop... ma io preferirei parlare della Monàe.
E dire che voleva andare a Broadway la tipa, e di sicuro le doti recitative non le mancavano (youtube; voi; ora): ma poi il cambio di rotta, poi la musica, poi qualche comparsa nei concerti dei No Doubt, poi l'emersione dall'infinito mondo oceanico pop. Se lei emerge, noi c'immergiamo nella sua materia: troppo presto parlare di nuovo astro, di rivoluzione, di consacrazione. Andare all-in al pre-flop è un gran bel rischio. Voglio dire, abbiamo solo due album tra le mani (in realtà uno, "Metropolis" è un EP)... bisognerebbe andarci piano.
Eppure chi vieta di esaltarci? Sfido io a restare indifferenti davanti alla disco-pop spensieratissima ad alto tasso di movimenti di testa e spalle ("Dance or Die" e "Faster"), introdotta da un'orchestra retrò ("Suite II Overture") e opportunamente supportata da un ritmico battito di mani in salsa funky ("Locked Inside"). Luci, suoni, frenesia e anche fiabe sussurate romanticamente dall'ugula dolce e cullante della Monàe ("Sir Greendown").
Subito si disvela il suo punto di forza, quel grandissimo senso del ritmo black armoniosamente teleguidato al servizio di costruzioni melodiche perfette (oltre la voce, vero). Non c'è un solo suono superfluo nei suoi pezzi, nessun tempo sbagliato o fuori posto; tutto risulta estremamente "giusto", preciso, adatto, perfetto e perfettissimo. E c'è chi si potrebbe lamentare di questo. Si dirà nell'anonimo "Trattato del Sublime": meglio un genio imperfetto che una mediocre perfezione. Allora questo disco è una trappola? Ci vuole attirare nella sua tana per poi ridere di noi e del nostro mancato senso di giudizio; vuole farci perdere il senno, anestetizzandoci e imbambolandoci tra la seta e il kashmir... E sia: mi offro come cavia di questa nuova tortura del XXI secolo.
La Monàe riprende da dove ci aveva lasciati prima della parentesi a spasso nelle lande di Avalon: voce oltre ogni limite, sparata come una capsula nello spazio stellato, tra firmamenti techno e meteore funk ("Cold War"); e continua imperterrita, senza alcuna interruzione, stordendoci con un r'n'b elasticizzato fino all'inverosimile, allungato in forme dance e "scratchiato" in altre più propriamente hip-hop ("Tightrope"). C'è posto anche per una certa sostanza pseudo-rock tra riff d'accompagnamento corrosi e acidi e una voce che impazza e strilla bruciando tutta l'aria attorno a sè ("Come Alive: War of the Roses"); il piatto non finisce ancora i suoi ripieni: dilatazioni circolari di una voce soavemente robotica raccontate dietro un velo erotico-nostalgico simil Air, armonizzate da assoli "dream" di chitarra ("Mushrooms & Roses"). Dopo una pausa orchestrale nuovamente vintage ("Suite III Overture"), è questa volta il soul della Monàe a colpire al centro il bersaglio: archi che si sciolgono, voce all'acqua di rose, delicata come una Sade dei nostri tempi, prolungata nel canto da versi androgini e chitarre gorgoglianti; rubando una frase di Gull (riferita alla Badu) "in perenne equilibrio tra mainstream e classicità black" ("Neon Valley Street"). Interessante, poi, l'esperimento future-funky ("Make The Bus"), così come gustose sono le gomme rosa shocking masticate con divertimento dall'immaginaria ragazzina monella ("Wondaland"). Sensibile ma anche... rilassante, merito di una chitarra pizzicata, uno xilofono e un intreccio di voci sognanti e pacate ("57821"), ma anche... struggente, ballata jazz schiarita sul finire da una luna debussyana ("Say You'll Go"), ma anche... James Bond! Come scusa?! Si, non sono impazzito: come fosse l'intro di uno qualsiasi dei film di 007, la Monàe ci sorprende e ci ammalia per l'ultima volta ("BaBopBye Ya").
E quindi piano-bar, champagne, sorrisi e un possibile bluff, il mio: chi vede?
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