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R Recensione

7/10

Georgia Anne Muldrow

Kings Ballad

Con le orecchie come cornucopie ancora colme della dorata magia spazio-tempo-musicale dispiegata dall'ultimo lavoro di Erykah Badu, andiamo ad occuparci di un'altra artista - più giovane e dunque minore, per ora, al cospetto della maestà che siede sul trono “accanto al finestrino” - che pure si sta ritagliando una dimensione importante in questo piccolo rinascimento soul di fine/inizio decennio. Stiamo parlando ovviamente di Georgia Anne Muldrow, autrice, compositrice, produttrice e anche cantane in proprio (particolarmente significativo l'esordio, nel 2006, Olesi: Fragments Of An Earth), nonché vestale del “baduismo” recente sull'altare di piccoli capolavori come Master Teacher (in New Amerykah Part One) e Out Of My Mind, Just In Time (Part Two), brani di cui è stata co-autrice e produttrice.

La rete di corrispondenze e similarità fra le due artiste, in verità, è piuttosto fitta e frastagliata: stesso approccio progressivo e contaminato che parte dal soul modernista e strumentale degli anni 70 per approdare al nu-soul e all' hip-hop (Georgia in coppia col marito Dudley Perkins è anche una discreta rapper), stessa sensibilità conscious, intellettuale, afro-centrica (che non si limita alla deliziosa canestra di capelli che entrambe sfoggiano con orgoglio), persino un timbro di voce affine, anche se un modo di cantare diverso, più estroverso, irresistibile, debordante quello della Badu, più dimesso e confidenziale, a tratti quasi ovattato, quello della Muldrow. La differenza principale, però, è che il nuovo soul georgiano è più mondano, essenziale, terreno rispetto a quello ormai iperuranico di quel gran pezzo dell' Erykah. E in ogni caso stiamo parlando di due personalità diverse, ben definite, due caratteri indipendenti che collaborano e s'influenzano a vicenda senza per questo essere derivativi.

Dotata, dotatissima, dunque, e anche iperattiva la nostra Georgia: Kings Ballad è già il terzo disco quasi interamente ascrivibile a lei pubblicato in questa prima metà di 2010. E i numeri, una volta tanto, contano perché nel lavoro in questione si avverte, nell'alveo di un eclettismo e di una varietà di stili pur apprezzabili, un certo scollamento, delle scelte un po' confuse e antitetiche, delle cose, magari anche valide singolarmente, ma che non stanno tanto bene insieme. Si parte decisamente in quarta con pezzi di gran classe come Indeed (languida, sinuosa, velata, forse la più “baduiana”, in senso buono), il funk al rallentatore e i begli intrecci vocali di Doobie Down, le suggestioni artsy e afro di Simple Advice. Poi si va in tante, forse troppe, direzioni diverse: la torch-song in guisa black King's Ballad, dedicata a Michael Jackson e rovinata, in parte, da un testo sinceramente commosso ma abbastanza stucchevole; il rap alternativo venato di soul di Thrones; un mini-filone più dancey, da nu-soul anni 90, nelle francamente modeste Summer Love e Can't Stand Yo Love e nell'ottima Live che deve qualcosina ai Fugees; spaesate incursioni electro e abstract come Thatch e la kraftwerkiana Industrial Bap. Il tutto condito e (s)collegato da skit e intermezzi stravaganti, da hip-hop zappiano come Baby Dee o la novelty Room Punk.

 

Decisamente troppa carne al fuoco per non fare indigestione. Anche se chi ama questo genere di sonorità o chi, in ambito pop/alternativo, le ha scoperte da poco magari grazie agli exploit della Badu non abbandonerà certo deluso una tavola così imbandita.

 

Georgia on my mind, come diceva uno che di donne e di musica un pochino se ne intendeva.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 4 voti.
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rael 8/10
target 6/10

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