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R Recensione

8/10

Vaselines

Enter The Vaselines

Un paio di date, tanto per cominciare. Prendete nota: 1991: Kurt Cobain invita Eugene Kelly e Frances McKee sul palco del festival di Reading per un’infuocata cover di Molly’s Lips dei Vaselines. Il pubblico forse ancora non lo sa (come direbbe Carlo Lucarelli) ma in realtà quel gruppo non esiste più da almeno un anno. 1992: la Sub Pop acquista lo smilzo catalogo dei Vaselines e pubblica l’antologia postuma The Way Of The Vaselines: A Complete History di cui questo Enter The Vaselines è l’edizione deluxe. Ma come si è arrivati a questo punto? E che c’azzeccano ‘sti due scozzesi intabarrati e freddolosi, nati e cresciuti ai margini della scena twee di Glasgow, con l’etichetta che ha inventato il grunge e il suo gruppo più caldo e rappresentativo?

Ok, troppa carne al fuoco, facciamo un attimo un passo indietro e restituiamo al quadro la sua visione d’insieme. Strana storia quella dei Vaselines, che potrebbe essere riassunta in questa frase, ironica ma non troppo, di Frances McKee (chitarra e voce femminile): “Tipico dei Vaselines diventare famosi perché qualcun altro ha fatto una cover dei nostri pezzi. Che c’è di meglio per degli scansafatiche come noi di un’altra band che fa tutto il lavoro duro per te?”. Una storia che in realtà era cominciata qualche anno prima, a metà Ottanta, con due EP (Son Of A Gun e Dying For It) e culminata con la realizzazione, su Rough Trade, del primo e unisco album della loro carriera, “Dum-Dum” (1989).

Tuttavia i dettagli biografici e cronologici esauriscono solo in minima parte il valore di un gruppo che, amicizie che contano o meno, si merita in pieno la sua solida fama di cult-band genialoide. Innanzitutto per come hanno saputo travasare e amalgamare via punk (quello zuccherino dei Buzzcocks o quello più vetroso dei Beat Happening) la scena twee-pop inglese (e le sue evidenti radici folk e cantautorali) con l’ indie-rock americano (di genealogia Velvet-iana/Sonic Youth -iana) fino a lambire il grunge, lanciando una testa di ponte fra due sponde dell’Atlantico che mai come in quel periodo sembravano così lontane (e, sorta di contrappasso, se il grunge fu “scoperto” prima nel Regno Unito che nel suo paese d’origine, i Vaselines furono profeti nella patria di quest’ultimi dopo essere stati poco più che carneadi nella loro).

Ma i meriti sono anche (e soprattutto) intrinseci alla qualità della loro scrittura, un’ebbra allegrezza adolescenziale che non diventa mai sbornia negativa, una “luccicanza” pop capace di rischiarare una tavolozza sonica che, nel compiere esercizi d’equilibrismo sul filo rattoppato della sua essenzialità stilistica, si presenta quanto mai ricca di spunti e d’influenze sorprendenti (oltre a quelle già citate: il revival garage anni 60 e quello rock’n’roll anni 50 e, alla bisogna, la parodia dei duetti Birkin/Gainsbourgh o Sinatra/Hazlewood), specie se si considera che il loro intero song-book non raggiunge verosimilmente le trenta unità.

E qui lustratevi le orecchie, che non si fanno mancare davvero nulla: né l’effervescenza scavezzacollo e sempreverde dei loro anthem di sempre Son Of A Gun (batteria scandita ed marciante come nel twee pop, chitarre che alternano distorsione punk e jingle jangle, piano boogie percussivo) e Molly’s Lips (incedere rockabilly, inflessioni raga-rock, il cantato flebile e sotto le righe della McKee e perfino il campanello intermittente di una bicicletta); né il pre-punk alla New York Dolls di Sex Sux (Amen) e gli omaggi post Velvet Underground di Teenage Superstars e Monsterpussy (con l’interpretazione atonale e distaccata di Kelly, chitarrista e voce maschile, che ricalca quella di Reed); né la matrice folk di una trilogia di pezzi splendidi quali la boccaccesca Rory Rides Me Raw (che qualcuno ai tempi definì “un incrocio di Leonard Cohen e Butthole Surfers”, della serie: “ho visto cose che voi umani…”), Jesus Don’t Want Me For Sunbeam (l’altro pezzo reso celebre dai Nirvana con la loro esibizione di Unplugged in New York), Slushy, un valzer campestre cintato di fuzz, allietato da un discreto sottofondo di synth, tastiere e violini. Il che dimostra come, nel loro piccolo, i Vaselines riuscivano a scavalcare agilmente tutti i clichè del vocabolario indie, riallacciandosi all’occorrenza anche al synth-pop d’antan (la McKee non ha alcuna difficoltà ad ammettere che i Soft Cell erano una sua ispirazione costante e Sex Dwarf una delle sue canzoni da isola deserta) come in quello straordinario e faceto esperimento che è You Think You’re A Man, una cover di Divine (icona drag e grottesca musa di John Waters), aggrondata come un duetto parodistico alla Je T’Aime Moi Non Plus su una base electro di basso e drum machine, spartita da una linea di chitarra sottile e metallica. Da segnalare anche l’impetuoso e screziato elettro-punk di Lovecraft e il power-pop di The Day I Was A Horse che suona come una versione più sixties e lisergica degli inarrivabili Ramones.

Ah, anche gli amanti della filologia troveranno pane per i loro denti: il secondo cd, infatti, ospita le versioni live e demo dei brani più significativi contenuti nella prima facciata. Altre due date per chiudere: 2006: i Vaselines, che in realtà non s’erano mai veramente sciolti dacché il fulcro creativo Kelly/McKee fa coppia anche nella vita, si riuniscono e tengono alcuni concerti accompagnati anche da diversi membri dei Belle And Sebastian (loro concittadini e ammiratori). 2009: sembra che per l’estate sia in programma una ricca tournèe europea.

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C Commenti

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tramblogy alle 0:32 del 5 giugno 2009 ha scritto:

sto disco mi ispira di brutto...

Ivor the engine driver alle 10:08 del 5 giugno 2009 ha scritto:

boh a me son sempre sembrati sopravvalutati, proprio dopo aver preso incesticidio e aver sentito Son Of A Gun tutti andarono in cerca di sti vaselines. Alla fine riuscii a farmi passare una copia cassetta e maxima delusione, perchè quel brano e pochi altri a parte, mi sembrava dovessero ringraziare la fissa di Cobain per cotanta esposizione mediatica. Certo, c'è di peggio, ma non riesco a considerarli gemme perdute come vedo scritto in giro. Te sempre bravo

otherdaysothereyes alle 16:07 del 5 giugno 2009 ha scritto:

The way of the vaselines, la prima racolta per sub pop, era un gioiellino. Questa è probabilmente più esaustiva, quindi ben venga l'ennesimo ripescaggio di uno dei gruppi più entusiasmanti dell'indie pop scozzese.

Alessandro Pascale (ha votato 8 questo disco) alle 12:19 del 24 luglio 2009 ha scritto:

belo belo

raccolta davvero ben fatta. Loro sono grandi, è il pop chitarroso come piace a noi. Inutile che ci si giri così intorno, loro, yo la tengo, pastels, dinosaur jr e via dicendo sono stati i protagonisti della riscoperta della chitarra nella seconda metà '80s. Un sottobosco indie che è una vera ficata riscoprire oggi. Eccellente la rece del coax che non si è sprecato

target alle 12:28 del 13 agosto 2009 ha scritto:

In effetti i Vaselines sono stati esperienza piuttosto unica, proprio per tutte su quelle contaminazioni su basi semi-serie e scazzate che il dottor Coax cita perfettamente nella recensione. La retrospettiva, secondo me, li sbilancia più verso la sponda ammmmericana che verso l'indie pop scozzese, anche se certi gruppuscoli europei degli ultimi tempi pescano da qua come dai cataloghi Sarah senza grandi distinzioni (gli svedesi Envelopes, ad esempio, filastroccanti naif come spesso gli scozzesi). Certo, anche Ivor non ha tutti i torti: più importanti che belli, direi.