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R Recensione

7,5/10

Ibeyi

Ibeyi

Voi che siete sempre alla ricerca di next big things, meglio se femminili, meglio ancora se in coppia (uhmm!), accorrete. Dimenticate quelle cesse delle Cocorosie e anche quei giovani angioletti dell’anno scorso che si chiamavano Lily & Madeleine (le Bananarama spero le abbiate dimenticate da tempo, e poi erano in tre). Qui la cosa è più grossa.

La gavetta, se così si può chiamare, è sempre la stessa. Si fanno conoscere con una serie di video su Youtube, poi vengono notate da un produttore e il gioco è fatto. In questo caso il talent-scout è addirittura quel vecchio marpione di Richard Russell, uno che ha recentemente riscattato la colpa di averci fatto credere che Devendra Banhart fosse un genio recuperando personaggi come Bobby Womack e Gil Scott-Heron (che subito dopo sono morti). Ultimamente il Signor XL Recording è (para)culo e camicia con Damon Albarn, da qui il nuovo interesse per l’esotico. Già perchè nonostante vivano in Francia da sempre, le due Ibeyi sono nate a Cuba e sono le figlie di Miguel Angel Diaz, ovvero il percussionista dei Buena Vista Social Club. Quindi: Youtube, produttore trendy, figlie d’arte, giovanissime (appena 19 anni a testa)… cosa manca? Ah beh, sono gemelle.

Questo il quadretto che pone le basi dell’hype annunciato e confezionato nella stessa etichetta che ha lanciato Adele e, più recentemente, King Krule e FKA Twigs. Successi annunciati ma, bisogna dirlo, pienamente meritati. Come meritato sarà anche il successo di Lisa-Kaindé e Naomi Diaz, la prima autrice di testi e musiche appassionata di soul e jazz (e si sente), la seconda al lavoro sugli arrangiamenti ritmici. Dicono in giro, tra l’altro, che le due litighino molto spesso durante la stesura dei brani, e non potrebbe essere diversamente tra due “Ibeyi”, che in lingua Yoruba significa appunto “gemelli”. L’uso della lingua Yoruba non è una forzatura “afro” di Damon Albarn ma la lingua madre delle due gemelline. Non intendiamo dilungarci sulla diffusione Cubana di questa lingua nata nell’Africa Occidentale, ma è una storia che vale la pena approfondire. Fatelo.

Per questo motivo, tra basi hip-hop e vocalizzi soul, “Ibeyi” inserisce spesso frammenti cantati in lingua Yoruba, come l’iniziale “Eleggua”, una invocazione “a cappella” dedicata al Dio Eshu, ovvero l’intermediario tra gli Dei (gli Orisha) e gli uomini. E in tutto il disco ritorna questo richiamo ancestrale alle radici religiose e culturali della terra natia, che creano un curioso effetto “tribale” all’interno di un impianto sonoro modernissimo, che nutre la propria nervatura fatta di hip hop scarno (pensate, ma solo in quest’ottica, a FKA Twigs) con elementi gospel, afro e soul. “Oya” è già la sintesi perfetta di questo ibrido, nel momento in cui la vocalità delle due ragazze subisce filtri tecnologici dai quali si libera nel finale in un coro che sa di preghiera. Poi ci sono le evidenti necessità pop, che racchiudono le melodie r’n’b (“Ghost”) o hip-hop (“River”) in deliziosi quadretti soul, nei quali le voci emergono nella loro natura “black” al servizio di brani pronti per il successo di massa. Eppure, nonostante la volontà di risultare “mainstream” (ammesso che voglia dire qualcosa), anche i brani più “facili” riescono a trarre una forza inaspettata da un preciso lavoro di sottrazione, che consente ai singoli pezzi di vivere solo attraverso gli incastri tra ritmica e pianoforte (“Stranger/Lover”), supportati da armonizzazioni vocali pulite e volutamente “vintage” (“Faithful”) o da discreti accenni elettronici (“Weatherman”). La scrittura “nera” delle Ibeyi passa attraverso questi pochi elementi, ma riesce a costruire alcune bozze meravigliose, soprattutto quando il tutto è filtrato attraverso la sensibilità e l’intimità (famigliare e culturale) delle due protagoniste: valga in questo senso la sola “Mama Says”, che trasforma una ballata per pianoforte ("The man is gone / And mamma says / That she can’t live without him / ...There is no life without him") in una preghiera agli dei, creando un ponte tra il significato immediato del testo (la perdita di un uomo, verosimilmente il padre) e la perdita di Elegua, e quindi della comunicazione con gli dei, senza la quale è impossibile vivere. 

Ibeyi” sembra davvero l’approdo definitivo di una musicalità globale, che non tenta di unire (e quindi omologare) le differenti istanze culturali, ma semplicemente si appropria delle identità che le appartengono e, sentendole tutte come proprie, non si identifica con nessuna di esse. Forse l’unico concetto di modernità a cui sarebbe bene ambire.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 8:20 del 12 febbraio 2015 ha scritto:

Ho ascoltato solo i singoli ("Mama Says" su tutti): mi verrebbe da definire il loro sound "Art Soul" - data la sottrazione, le strutture tribali scarnissime, le reiterazioni, i cromatismi sparsi ecc. Sbaglio Fab? Torno quando avrò ascoltato tutto l'album, intanto grazie per questa (ennesima) perla

fabfabfab, autore, alle 11:53 del 12 febbraio 2015 ha scritto:

Ma di che. A me piace l'effetto della parte ritmica, che associa le percussioni tradizionali (cajun...) con una componente elettronica "parsimoniosa".... non è solo voce, insomma. Anzi, vocalmente non sono neanche eccezionali ma funzionano benissimo.

AndreaKant (ha votato 7 questo disco) alle 16:50 del 14 aprile 2015 ha scritto:

fabfabfab, autore, alle 12:43 del 24 maggio 2015 ha scritto:

Per colpa di ste due ragazzine stasera mi toccherà anche guardare Fabio Fazio...