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R Recensione

7/10

Lana Del Rey

Ultraviolence

Lana Del Rey, due anni e sette milioni di copie dopo. “Born To Die”, in qualsiasi versione sia stato “consumato” (preferibile l'edizione deluxe arricchita dal “Paradise Ep”, ma l'artwork dell'originale è troppo iconico), si è dimostrata opera pop di successo. Maltrattata, questo sì, da penne fin troppo severe/schierate, eppure a suo modo influente, scomponibile e ricomponibile, leggibile a più livelli: da riflessione “in tempo reale” sui meccanismi garanti di questa infiltrazione indie nel mainstream (o meglio, di questo inizialmente scialbo progetto indie che si rifà labbra e trucco e acquista un'identità artistica dentro al mercato), a definizione di un sound e di un immaginario - dei quali il personaggio Del Rey è ovvio baricentro – originali e assai poco “retro-qualcosa”, come tanti invece vorrebbero. Tutto talmente gustoso, almeno secondo il sottoscritto, che ogni ulteriore discorso sul “dopo-Born To Die” scemava nella - forse irriguardosa, vista la caratura dell'autrice/interprete/attrice - constatazione di come un seguito quasi stonasse con la sferica compiutezza (mediatica, artistica, musicale) dell'intero progetto, appunto “nato per morire”. “Ho già detto tutto quello che avevo da dire” sembrava confermare Lana con astuzia.

La gestazione di “Ultraviolence” è stata tormentata. Secondo la Del Rey, l'album era pronto a Dicembre 2013 ma lei, sfiduciata circa lo stato di salute della sua “Musa”, ha preferito temporeggiare. Galeotto è stato l'incontro con Dan Auerbach (Black Keys), dal quale sono scaturiti profondi ripensamenti circa la scaletta e il sound. Per farla breve, mezzo album è stato registrato da capo. E si sente. Se c'è una canzone, anzi due, di “Born To Die” con cui è possibile tracciare un parallelo per il nuovo materiale, queste sono “Blue Jeans” (la più bluesy, dove i sentori americana sono intossicanti) e la torch song “Million Dollar Man”. A conti fatti, ciò equivale ad asserire che, per almeno tre quarti, “Ultraviolence” rinuncia alle dinamiche dell'esordio: gli archi sono diradati, spesso sintetizzati o miscelati ad altre tastiere vintage in odor di mellotron; via anche le ritmiche sintetiche/marziali, così caratteristiche, in favore di batteria vera e un approccio lieve, dreamy, tom tom a profusione ma mai in primo piano (cosa non è la magia dell'introduttiva “Cruel World”); persino Lana, pur approfondendo l'intimismo del fraseggio, non è mai stata così "sfatta" vocalmente, registrata con microfoni cheap, fra mille echi e ricercate imperfezioni.

Auerbach ripensa gli spazi, dilatandoli. Privilegia carrellate in slow-mo, strumenti che si perdono nella nebbia, voci a rincorrersi al buio. In qualche caso perfino le strutture si liquefanno (relativamente, almeno), come dimostra l'eccellente primo singolo “West Coast”: da una strofa mid-tempo a un ritornello catatonico (uno shock per la casa discografica), col passaggio che avviene nel modo più brusco possibile: ossia attraverso raccordi in cui il materiale letteralmente collassa. Percorso simile quello di “Brooklyn Baby”, embrione chitarra-voce di un brano girl group a sfociare, dopo mille sottigliezze, nel requiem percussivo del chorus (nel finale avrebbe dovuto esserci la voce di Lou Reed ad accompagnare quella di Lana, ma come sappiamo il destino ha deciso diversamente). Altrove il discorso si fa più concreto, a beneficio dell'intensità:“Shades Of Cool”, tutta spirali di fumo e canto da sirena; l'incantevole “Sad Girl”, un ritornello '70s che si penserebbe partorito dalla penna di Stevie Nicks; la cover “The Other Woman", pezzo forte del repertorio di Nina Simone, forse l'interpretazione di Lana più commovente ever.

Destano invece parecchie perplessità i brani che di “Born To Die” ricalcano i capisaldi stilistici (la scansione marziale del beat, etc.), e quindi “Money Power Glory” e la sardonica “Fucked My Way Up To The Top”: pur avendo il merito di spezzare per pochi minuti il tono sognante – a tratti soporifero - dell'album, restano entrambe più o meno involute . Poca cosa, infine, i tre inediti contenuti nell'edizione deluxe, fatta salva una “Black Beauty” prodotta da Paul Epworth che non avrebbe sfigurato in scaletta, magari al posto della bruttarella “Pretty When You Cry”.

Un lavoro, “Ultraviolence”, più cantautorale e “adulto” rispetto all'esordio; sorta di reflusso indie dopo la sbornia da grande pubblico, e quindi documento che testimonia un percorso inverso rispetto a quello che ha condotto Lana al successo. La critica – specializzata e generalista – pare compatta nel salutare una Del Rey finalmente artista e non più solo popstar, accogliendo “Ultraviolence” con toni che vanno dal sorpreso all'entusiastico (ma sul discorso vendite, nonostante il già annunciato primo posto Billboard, ci andrei più cauto: troppi sono i fattori da analizzare, alcuni dei quali parrebbero mettere in dubbio, sulla lunga distanza, risultati commerciali equiparabili a quelli del predecessore).

L'aspetto paradossale di questa improvvisa unanimità di consensi è che, a mio modesto avviso, LDR non è mai stata soltanto una popstar. Anzi, rincaro la dose: checché se ne dica, se c'è un suo album che costeggia pericolosamente il concetto di retrò, questo è proprio “Ultraviolence” (non mi meraviglierei se qualcuno l'avesse definito “più onesto”), quello che sovente si adagia su stereotipi invece di rivitalizzarli, quello senza strappi, senza i “conflitti” che rendevano “Born To Die” un'esperienza davvero inedita.

Alla “orrorifica, destabilizzante metamorfosi del concetto stesso di teen pop” (perdonate l'autocitazione) si sostituisce ora il “narco-swing”, come lo definisce Auerbach. Un sottofondo crepuscolare, fluido ma tendente all'indistinto, effluvio di sottovoce fuligginosi, malinconia discreta, luce soffusa: l'esatto l'opposto dell'espressionismo pop di “Born To Die”, delle sue luci abbaglianti da sala chirurgica, della sua solenne obliquità. Ciò che innervava quell'opera, rendendola oggetto indefinibile, in precario equilibrio fra due mondi, era l'incontro/scontro di matrici stilistiche e loro sottintesi merceologici/ontologici (il “meta-qualcosa” di cui tanto abbiamo parlato). “Ultraviolence” ha superato - anche brillantemente, intendiamoci - tale dicotomia e annesso problema d'inquadramento. Le ambiguità, come per magia, svaniscono al cospetto di una simil-maturità senza dubbio eccentrica e capace di produrre ancora ottima musica (quando il team si impegna), ma nel complesso ottundente, troppo familiare: prima ci si confrontava col nemico, ora ci si gode il calduccio depravato del proprio habitat (finchè la Interscope acconsente). Album discreto, nonostante tutto. Ma proseguendo di questo passo, di Lana Del Rey finirà col restare solo Lizzy Grant. Se ciò sia un bene o un male, lascio a voi giudicarlo.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 18 voti.
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Lepo 7,5/10
gramsci 7,5/10
JJSEV 5/10
ThirdEye 2,5/10
Steven 5,5/10
target 6,5/10
Cas 7/10
Senzanome 7,5/10
Pongi 9/10

C Commenti

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Lepo (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:14 del 20 giugno 2014 ha scritto:

A me è piaciuto molto ai primi ascolti... La Del Rey ha messo da parte tutte le cose che mal sopportavo da Born to die (che ritengo un album più importante che bello), come le influenze hip hop e le cantilene melense, abbracciando completamente la via dell'abbandono al sentimentalismo più dannato, che alla fin fine, è la cifra stilistica che da sempre più l'ha constraddistinta; il suo arrivo sulle scene è stato deflagrante, almeno nel pop mainstream, proprio per le iniezioni di pathos di pezzi come video games, Born to die, ecc. In ogni caso, non so quanto sia stata poco d'impatto presso il pubblico la scelta di West Coast come primo singolo, la cosa meno radiofonica sentita alla radio negli ultimi tempi probabilmente! la recensione comunque è perfetta, davvero: inappuntabile quando dice che questo ultraviolence è debitore in massima parte di blue jeans e milion dollar Man (aggiungerei anche Bel Air dall'edizione deluxe), che guarda caso sono le mie preferite in assoluto dell'americana. Descritta molto bene anche la produzione di Auerbach, che io ho trovato estremamente calzante per il tipo di album sfiancato e languido che si è trovato tra le mani. Passando alle canzoni, fino a Sad Girl tutte bellissime (picchi in Brooklin Baby e Cruel World), poi il disco cala un pò tra la 7 e la 9, la 10 patisce solo il fatto di essere il pezzo più smielato del disco in un momento in cui il tutto sta diventando un pò monocorde, the other woman spettacolare. Insomma, lungi da me smontare il primo album, che pure ho ascoltato tantissimo, non credo che la signorina potesse fare un disco diverso da questo per continuare ad essere Lana Del Rey, infatti- e qui mi distacco maggiormente dalla recensione- la recita sta continuando, non ritengo affatto si tratti di un LP più onesto, solo diverso.

loson, autore, alle 16:14 del 20 giugno 2014 ha scritto:

Ti ringrazio per i complimenti. A me questo disco, pur con qualche canzone davvero splendida e un lavoro senza dubbio interessante sui suoni, ha soprattutto ricordato quant'era sconvolgente Born To Die. Potessi votarlo adesso sarebbe un 9.

Jacopo Santoro alle 14:51 del 20 giugno 2014 ha scritto:

La musica di questa donnaccia continua a piacermi abbastanza. Eppure, istintivamente, vorrei sempre che ciò non accadesse, forse per la scena troppo "pop mainstream" che calca in tutti i sensi, e non solo dal punto di vista musicale. Ripasso per il voto, ma ai primi ascolti suona molto carino.

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 11:21 del 23 giugno 2014 ha scritto:

Lagna del Rey non si smentisce. A sto giro va un pò meglio in effetti, ma sempre Lagna rimane. Continuo a pensare che sia un grande bluff, ma se vende così tanto e ha così tanti ammiratori, ha ragion d'essere. Non per me.

JJSEV (ha votato 5 questo disco) alle 20:04 del 23 giugno 2014 ha scritto:

La recensione è sicuramente interessante e hai incuriosito uno scettico come me, Ultraviolence è l unico che ho sentito di Lana Del Rey ma sinceramente lo trovo un po noioso, anche se dal punto di vista musicale ci sono delle canzoni interessanti ma la voce non arriva ad interpretarle nella maniera adeguata, spesso risulta un po monotona e il progetto in sè risulta troppo calcolato..

Mastrogeppetto (ha votato 8 questo disco) alle 21:03 del 23 giugno 2014 ha scritto:

Con ultraviolence ho scoperto un artista vero. Finalmente sono riuscito a capire come in musica ci si possa spogliare di qualcosa di personale e regalarlo al pubblico. Vedo in Lana del Rey una persona vera, fragile, passionale come tutti noi. Per quel che mi riguarda un gran bel disco.

ThirdEye (ha votato 2,5 questo disco) alle 13:51 del 24 giugno 2014 ha scritto:

Sta toba mi fa venire una voglia irrefrenabile di spararmi su 24 ore nonstop di Cannibal Corpse a manetta. E i Cannibal Corpse mi fanno cagare...

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 16:32 del 24 giugno 2014 ha scritto:

just for clarification: "toba" sta per roba o per topa? No perchè nel secondo caso, a me vengono altre voglie...nel senso, altri dischi...

target (ha votato 6,5 questo disco) alle 11:40 del 28 giugno 2014 ha scritto:

Los miglior esegeta lanadelreyano sulla piazza: leggerti è ascoltare l'album in modo nuovo, e non solo, sposti sempre coordinate ben più grandi di quelle del disco in questione. Che a me piaciucchia, ma meno del precedente, pur avendo almeno un classico-subito ("Brooklyn baby" lo è, tra i pezzi più belli dell'anno, e tutti a casa) e qualche altro pezzo, sfatto e slombato come dici tu, remissivo nella vegetazione soffocante, che segna (l'inizio in decadenza USA di "Old money": "Blue hydrangea, cold cash divine, / cashmere, cologne and white sunshine, / red racing cars, sunset and vine, / the kids were young and pretty", cioè il liberty al tempo di Obama: meraviglia). D'accordo con te e Lepo sul calo 7-9, pesante anche perché, appunto, i pezzi deboli vengono messi in successione. Cosa che spesso succede quando il parto di un disco è troppo travagliato. Che ne pensi, Los, delle sparate recenti sul desiderio di essere morta (con tanto di intervento pro-vita della figlia di Cobain? Un incrocio di discendenze e decadenze notevolissimo, pour moi, su cui sarebbe interessante soffermarsi un po').

loson, autore, alle 10:37 del primo luglio 2014 ha scritto:

Targ, col tuo apprezzamento mi onori. Non so tu, ma io, quelle rare volte in cui mi capita di scribacchiare, in corso d'opera m'immagino le reazioni di alcune (poche) persone i cui giudizi reputo particolarmente importanti (della serie “cosa direbbe Tizio di questa frase?” ), e tu sei una di queste. Venendo a Lana... “Brooklyn Baby” gran bel pezzo, sì. Io continuo a restare ammaliato da “West Coast”, quel cambio di tempo ha su di me un effetto indefinibile, distilla e catalizza tutto il buono che c'è di “Utraviolence” (senza nulla togliere ad altri pezzi qui presenti di pari o appena inferiore caratura). Senti come rende bene anche dal vivo, al Glastonbury (parti da 15'30'' così non ti perdi lei che si china e sorseggia la pepsi cola ). Mi sembra – ahimè - che in questa veste rock Lana si trovi più a suo agio, in barba a tutte le meta-pippe sul sound di Born To Die. Il rischio è che di questo passo si trasformi in PJ Harvey o in una delle sue figliocce, davvero non potrei sopportarlo. Ho letto l'intervista al Guardian, pietra dello scandalo, e l'ho trovata assai pittoresca, tanto nella scelta dell'ambiente quanto nelle sfumature della prosa del tizio. Insomma, si è cercato l'effetto glamour, il piacere della “sparata”! Nulla di male, sono alcuni dei cardini su cui si è sempre sviluppato il suo discorso. La Morte e Lana Del Rey sono tutt'uno: togli il fascino adolescenzial-maledettista per il Tristo Mietitore e togli gran parte del fascino (e del senso) all'intero progetto. La reazione di Frances Bean Cobain è comprensibilissima, ma il punto è che, voglia o no, il suicidio (dei divi) è davvero cool. Lo è sempre stato, tutti noi ne subiamo il magnetismo. So che quanto dico è banale, ma a mio parere nessuno, neppure coloro i quali detestano il mito dell'artista maledetto (presente!), può dirsene veramente immune. L'attrazione per la morte e l'autodistruzione sono capisaldi della civiltà occidentale, a patto che, ovvio, tutto ciò sia soltanto “visto”, e quindi metabolizzato non come “vissuto” bensì come – aridaje – esperienza estetica. La distanza, insomma, è fondamentale. Tu cosa pensi in merito?

target (ha votato 6,5 questo disco) alle 20:58 del 8 luglio 2014 ha scritto:

Losone, d'accordo con te. Ecco, io non ho letto l'intervista intera, ma ci stavano tanto la sua sparata quanto l'intervento della figlia di Cobain (anche se il silenzio, to', di una Natalie Curtis - d'altronde ben più matura - è sempre la cosa migliore; hai visto, a propos, che è morta Annik Honorè? Vabbè, non allarghiamo troppo il gorgo eheh...). Visto il video da Glastonbury: in effetti sembrava a suo agio tra le chitarre, ma conto sul destino inevitabilmente trasformistico delle star di cui Lana ricalca i contorni come in un negativo. Non credo che si fossilizzerà. Piuttosto sparirà. (E pensami più spesso, se è vero che mi pensi scrivendo recensioni! )

andrea-s (ha votato 7 questo disco) alle 11:24 del 30 giugno 2014 ha scritto:

Caspita è un bel disco e tutto sommato cementa la credibilità dell'artista, anche se per il mio modo di vedere questo lavoro non raggiunge gli apici del precedente.

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 9:39 del 3 luglio 2014 ha scritto:
Lepo (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:19 del 3 luglio 2014 ha scritto:

My man is a bad man... 'Nsomma ghghgh questo non fa che confermare la mia ipotesi di una messinscena costante, anche nei testi di questo album

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 11:18 del 3 luglio 2014 ha scritto:

si ma messa in scena per messa in scena, preferisco la roba nostra...

Lepo (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:50 del 3 luglio 2014 ha scritto:

Ahahah questa è da suggerire ad alex turner

loson, autore, alle 13:58 del 4 luglio 2014 ha scritto:

La voglio. Dove si compra?

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 15:07 del 4 luglio 2014 ha scritto:

devi chiedere a Balotelli! Viva la Fico!

Dr.Paul alle 17:35 del 3 luglio 2014 ha scritto:

concordo con chi preferisce Born To Die, ma anche questo è un buon disco...nobilita il mainstream. troppo severi anche i giudizi per le tracce dalla 7 alla 9 (o la parte finale in generale), l'unica veramente scialba è "Pretty When You Cry". una curiosità di cui nessuno scrive (credo).....il lick di chitarra che si sente a 1.14 - 1.24 - 1.33 - 1.43 di West Coast nel video qui sopra, è preso di sana pianta da "And I love her" dei beatles : attendo conferme da M.Losi (ottimo lo scritto)!

Lepo (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:39 del 3 luglio 2014 ha scritto:

Per me la 10 e la 11 son tra le migliori dell'album, old money poi la sua torch song più coinvolgente

loson, autore, alle 13:56 del 4 luglio 2014 ha scritto:

Dici nel ritornello? Beh sì, son quelle quattro notine... Non so se siano prese di sana pianta, nel senso che come giro con la twang guitar lo percepisco abbastanza comune (non so quanti pezzi dei Ventures hanno lick simli, per dire). Però, oh, non è da escludere che sia proprio "And I Love Her" il referente principale. Contento che la rece ti sia piaciuta, Paul!

Dr.Paul alle 14:48 del 4 luglio 2014 ha scritto:

si secondo me si....anche la cadenza, ho provato a sovrapporre l'inizio di And I Love Her al minuto 1.14 di west coast....eheh

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 10:53 del 8 agosto 2014 ha scritto:

Album lagnoso, conturbante, debosciato, esangue, carnoso: capolavoro, ovviamente. "West Coast", "The Other Woman", "Brooklyn Baby" e "Shades of Cool" da catarsi; e "Florida Kilos" mirabile estetica lolita. Loson, vabbè, narratore dell'iperuranio, ma non è una novità.

loson, autore, alle 10:30 del 10 agosto 2014 ha scritto:

Fil... :*

Jacopo Santoro alle 20:45 del 24 agosto 2014 ha scritto:

Lagnoso, conturbante e soprattutto DEBOSCIATO sono aggettivi perfetti per descrivere questo lavoro di Lana.

Giuseppe Ienopoli alle 9:32 del 10 agosto 2014 ha scritto:

C'era una volta un recensore in FM che, oltre a fare i complimenti agli altri recensori, ne riceveva tanti anche lui ... poi un brutto giorno perse la penna e forse pure il calamaio ...

... si spera nel lieto fine.

Giuseppe Ienopoli alle 12:33 del 11 agosto 2014 ha scritto:

Fil_a la lana del re_y ... _ OT!

NDP88 alle 17:30 del 12 agosto 2014 ha scritto:

Anal Del Rey

swansong alle 15:06 del 18 agosto 2014 ha scritto:

..ma per piacere dai! Siamo seri..questa sarà pure una bella fanciulla, ma non sa cantare suvvia!..almeno metà (a voler essere generosi) dei concorrenti di X Factor o The Voice meritano il palco più di questa qui..

Lepo (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:58 del 18 agosto 2014 ha scritto:

Ma anche no: tralasciando il fatto che la del rey almeno i pezzi se li scrive, preferisco di gran lunga le sue interpretazioni, imperfette, ma specchio di un approccio alla materia sonora personale e sentito agli sterili gorgheggi di ragazzetti che in massima parte non hanno nè pathos, nè grande controllo o versatilità vocale

swansong alle 11:04 del 25 agosto 2014 ha scritto:

Beh allora mettiamola così..che decida se fare l'autrice o la cantante perché il ruolo di "cantautrice" non le si addice

swansong alle 15:11 del 18 agosto 2014 ha scritto:

...e non infieriamo più va' che è meglio...

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 11:59 del 7 dicembre 2014 ha scritto:

niente male davvero la Del Rey in versione dream/americana (o narco-swing come dice los, che mi pare azzeccatissimo). mal digerivo le gonfie sovrastrutture -soprattutto mediatiche- costruite intorno a Born To Die. ora però, con le luci soffuse di questo Ultraviolence, vado a recuperarmelo...