V Video

R Recensione

4,5/10

Gogol Bordello

Seekers And Finders

Il mondo è pieno di misteri che, per quanto mi sforzi, sfuggono completamente alla mia limitata comprensione. Per dirne un paio: riusciremo mai a contrastare i cambiamenti climatici? Quando troveremo una cura a tutte le malattie? Che ruolo gioca la materia oscura all’interno dell’universo? Esiste Dio? A cosa serve e a chi parla, esattamente, un disco dei Prophets Of Rage? E per quale motivo i Gogol Bordello si ostinano a dare continuità ad una produzione studio che può dirsi qualitativamente irrilevante almeno da “Trans-Continental Hustle” in avanti? Intendiamoci: ho molto amato il circo itinerante capitanato da Eugene Hütz, e il fanciullino che sonnecchia in me ancora sfodera i ghigni dei tempi migliori al risentire “Gypsy Punks: Underdog World Strike”, il disco-evento del 2005 che li consacrò (giustamente) fenomeno globale. Nel mentre, sono passati dodici anni: dodici anni di vita intensa ed intensamente vissuta sopra e sotto il palco. Oggi, la sostanza di un cambiamento-non cambiamento viene magistralmente riassunta dal primo verso della title track del settimo “Seekers And Finders”, un lento piacione condiviso con Regina Spektor (?): “Not all horses are gonna need blinders / Not all seekers will be finders”. Ecco: i Gogol Bordello, oggi, hanno smarrito il gusto della ricerca prima ancora della soddisfazione della scoperta.

Un ascolto non lo si nega a nessuno, per carità: tanto più che “Seekers And Finders” è di gran lunga l’episodio più agile e conciso della loro discografia (trentasette minuti contro la media di cinquanta dei precedenti lavori). Non sono però ponderatezza e generosità a spingere verso la semplificazione: anzi, la scaletta del disco è ricolma di passaggi a vuoto, dai raccapriccianti Dropkick Murphys sotto steroidi di “Saboteur Blues” (con melodia sgraffignata a “Lost Innocent World” e ritornello cosmopolita del tutto fuori luogo) al western inamidato di “Love Gangsters” (tra ghirigori di violino e fugaci apparizioni di banjo: in mezzo, anche se non si sente, ci finisce anche Nick Zinner di Yeah Yeah Yeahs e Head Wound City), dall’incolore incalzare bandistico di “You Know Who We Are (Uprooted Funk)” ai melismi strappalacrime di “Walking On The Burning Coal” (l’arrangiamento di tromba è del “nostro” Roy Paci). Non un’idea a pagarla oro, in breve, tanto che il ripiegamento verso lo stereotipo è pressoché immediato (l’ambio gypsy di “Did It All”, la pappa risaputa di “Break Into Your Higher Self”).

A voler cercare, col famigerato lanternino, del buono anche lì dove non ce n’è, si potrebbe dire che la telefonata andatura ragga di “If I Ever Get Home Before Dark” presenta degli interessanti contrappunti chitarristici, che lo scatenato finale in crescendo di “Familia Bonfireball” (lunghissima!) è a suo modo coinvolgente e che il vibrafono di Mauro Rifoso regala a “Clearvoyance” quel tocco exotic che non ti aspetti: ma sono inezie artificiose, insignificanti piccolezze rispetto a quello che i Gogol Bordello erano in grado di fare appena una decade fa, quando i dischi venivano chiusi da ottovolanti impazziti (“Mishto!”, “Super Taranta!”) e non da innocue ballate come “Still That Way”.

Il consiglio spassionato, fuori dai denti, è quello di non lasciarsi adulterare i bei ricordi dal ben poco felice corso recente. A meno che non facciate parte della schiera dei cosiddetti irriducibili, chiaramente… Nel qual caso, aggiungete un mistero insolubile alla lista di cui sopra.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.