Calibro 35 (w/ Torso Virile Colossale) @ C.S.O. Pedro (PD), 09/02/2018
Nella pletora di entusiastici riscontri che ha sollevato quasi unanimemente (e a ragione) il nuovissimo Decade, trovo particolarmente calzante il parere che sullultimo ciclo dei Calibro 35 ha espresso en passant Marco Pecorari, storico editorialista di Rumore: al tempo stesso molto e molto poco italiani. Nella sua icasticità, è una definizione centratissima: una band nata per celebrare un preciso periodo storico, culturale, estetico del nostro paese e dopo dieci anni ritrovatasi a maneggiare con gusto e competenza la sua dimensione più sartoriale ed immaginifica (questa è, in fondo, la library) si propone, oggi, con un disco di assoluto rilievo internazionale, un entusiasmante blob di musiche dal passato che guardano direttamente al futuro. La curiosità di vedere dal vivo questa nuova incarnazione dei Calibro 35 è inversamente proporzionale al numero di date finora fissate per il tour promozionale di Decade. Tantè che serpeggia una domanda, legittima: posto che la bravura tecnica dei musicisti non è minimamente in discussione, come rendere al meglio live la smisurata ricchezza e la stratificazione di arrangiamenti che, su disco, erano stati resi dagli Esecutori di Metallo su Carta al completo?
La Padova concertistica di un freddo ed umido venerdì sera accorre in massa allunico appuntamento veneto previsto in agenda. Loccasione è oggettivamente imperdibile, anche perché a fare gli onori dei padroni di casa scende in campo il nuovo, curiosissimo progetto di Alessandro Grazian, quellomaggio al peplum tricolore che prende il nome di Torso Virile Colossale. Sulle specifiche perplessità relative al disco (nel complesso, comunque, buono) abbiamo già scritto qualche settimana fa. Dal vivo, il cantautore padovano viene accompagnato, alla batteria elettrificata, dal solo Emanuele Alosi: è la minimalizzazione obbligata e per questo stimolante di un immaginario sonoro originariamente condiviso da un variegato ensemble orchestrale. Sul palco del C.S.O. Pedro non sfila nessun arco, non si profilano arpe, né intervengono a gamba tesa organi elettrici: solo chitarre distorte, effettistica e pad. Leffetto risultante, quandanche a tratti statico (specialmente a livello ritmico: una questione di rodaggio, si suppone) e non sempre tecnicamente perfetto (leggermente pasticciata la gestione dei piani nella grandeur di Fedeli Alla Flaminia), conserva un suo particolarissimo fascino, espresso al meglio qui sì nei frangenti più rumorosi: gli abrasivi glissando di La Lotta, le crepe elettriche di Macigno e, soprattutto, le infiltrazioni sabbathiane di Ciclopico (quasi una versione epica dello scheletrico interplay degli SpaccaMombu) ripagano grandemente le aspettative dei presenti. Un piccolo consiglio, per il futuro, per schivare la sindrome dellarto fantasma: estendere, ad ogni esibizione, la proiezione di visual in tema permetterebbe di entrare più in profondità nel mood che il progetto vuole suggerire.
Chi scrive aveva già visto tre volte dal vivo i Calibro 35, in tour e anni distinti, con scalette e materiale eterogenei: ogni volta, immancabilmente, più che un concerto si era rivelata essere una grande festa, il ritrovo di una famiglia allargata attorno allesplicitazione di passioni personali mai sopite. A questo giro, tuttavia, il discorso è diverso. Lo spontaneo boato che accoglie il giustapporsi delle frasi afrobeat di sax in Psycheground esecuzione adrenalinica, impeccabile è già un eloquente indicatore della benevola disposizione che il pubblico patavino nutre nei confronti della band: la spia che suggerisce come la serata si stia per trasformare in un evento, a suo modo, unico. I primi tre quarti dora, dedicati alla riproduzione di Decade in rigoroso ordine di tracklist, vedono i quattro+uno dellapocalisse interagire con Sebastiano De Gennaro (vibrafono, percussioni) e Beppe Scardino (sax baritono, clarinetto basso). Il risultato è entusiasmante a livelli finanche imprevedibili. La sezione ritmica di Luca Cavina e Fabio Rondanini con questultimo in grande spolvero è unarmata indefessa, solidissima, a tratti impenetrabile, capace di estrarre dal cilindro preziosismi da big band (il carico/scarico zorniano di Faster Faster! è devastante), macinare ipnotici pattern psych-torik (peccato solo per qualche sbavatura nel crescendo armonico di Pragma) ed imporre con la forza la propria coriacea fisicità (SuperStudio ha un effetto dirompente). Massimo Martellotta lavora, nel complesso, in ombra rispetto al recente passato, concentrandosi più sui synth che sul parco chitarre le oscillazioni techno analogiche del primo minuto di Modo, da sole, valgono ampiamente il prezzo del biglietto e ritagliandosi solo sporadicamente segmenti personalistici (i malinconici melismi che, sul finale della notevole Agogica, raddoppiano il vibrafono, elevandosi sullimponente lavoro di gruppo). Gabrielli, infine, è il solito motore a getto continuo, un vulcano di idee in movimento, demiurgo anarchico e al contempo rigorosissimo a monte delle sempre innovative architetture sonore della band: sua la melodia orchestrale incastonata nel corpo di Ambienti, sue le sensuali sovrastrutture tastieristiche di ArchiZoom (una nuova Buone Notizie emendata dalle mende rimanenti) e sostanzialmente sua la conduzione nella scheggia free-form di Polymeri, unimpetuosa cavalcata atonale che resuscita tutti gli sperimentalismi del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza.
La seconda parte del concerto è devoluta ad una scarna selezione di vecchi anthem con leccezione della sola Travelers, recuperata poco prima del bis in una versione (a dispetto del cello dellospite Angelo Maria Santisi) assai più sporca, granulosa ed emozionante delloriginale. A rubare la scena sono, comprensibilmente, gli estratti del precedente S.P.A.C.E., tre in tutto, fra cui spiccano le lucidissime chitarre funk della title track e, soprattutto, il post-western formato Osanna formato Astatke di Ungwana Bay Launch Complex. Se, sfortunatamente, leccelso Traditori Di Tutti è rappresentato dal solo singolone spaccabalere Giulia Mon Amour (magari risentire One Hundred Guests o Two Pills In The Pocket!) e, addirittura, nulla viene suonato dal terzo Ogni Riferimento (la tiratina dorecchie qui ci sta), più ecumenica è la gestione dei primi due capitoli: dal s/t del 2008 non può ovviamente mancare lo shake al fulmicotone di Notte In Bovisa (elementare ma trascinante, come sempre), mentre dal successivo Ritornano Quelli Di Calibro 35 vengono riesumate laggressiva Piombo In Bocca e, un po a sorpresa, lallucinata, scomposta La Morte Accarezza A Mezzanotte (proposta nel bis, ancora con lapporto di Santisi, in dilatata versione da file cards). Il sipario, dopo unora e mezza, si chiude così.
Interessante notare, a margine, come la differenza tra il primo e il secondo set si sia percepita non solo in termini di quantità: lidea che ci si fa è che non sia, naturalmente, demerito retroattivo del repertorio precedente a Decade (che continua a funzionare benissimo) quanto, piuttosto, conferma indiretta della monumentalità di Decade stesso. È solo un altro modo, perlocutivamente subliminale, per convincervi ad andare a vederli e per apprezzare in prima persona, una volta di più, la straordinaria evoluzione artistica di un gruppo senza pari in Italia e allestero. Per lappunto: al tempo stesso molto e molto poco italiani.
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