The Blue Öyster Cult
Tyranny and Mutation
Il 1973 è l’anno di Sabbath, Bloody Sabbath e di The Dark Side of the Moon.
Il mondo sembra perdersi nella psichedelica e nel progressive.
Ma è anche l’anno di uno degli album più dimenticati dalla storia del rock. Tyranny and mutation è il secondo vinile dei The Blue Öyster Cult, che conferma tutto il valore e l’innovazione del loro esordio, raggiungendo la perfezione espressiva.
In contropiede rispetto alle certezze positive dei loro tempi, i BÖC registrano un must del rock, fondamentale precursore dell’Hard Rock e dell’Heavy Metal, al pari di mostri sacri (Deep Purple e Judas Priest per citarne solo un paio) che comunque riuscì ad anticipare sui tempi.
1277 express to heaven, è il ritornello che anticipa un intero genere, il thrash metal, di una decade; Hot Rails To Hell spicca per la capacità musicale espressa dai riff di chitarra e dal ritmo serrato della batteria.
Il resto è un continuo perdersi in un mondo oscuro e violento, fatto di testi che ancora oggi possono lasciare senza parole, ritrovandosi in equilibrio fra paranoie, occultismo e realtà suburbane.
Una giovanissima Patti Smith ha rischiato di diventare la cantante di questo caposaldo del rock, per poi limitarsi alla co-stesura di alcuni pezzi, che risaltano per sensualità e fascino malvagio (Baby Ice Dog e, nel successivo album, Career of evil).
Tra digressioni sulla metafisica si fanno spazio citazioni di Neruda e slanci di tastiera, creando un mix troppo spesso lasciato in sordina.
Il gruppo è passato alla storia, più che per la triade di album d’esordio, per il singolo Don’t Fear The Reaper (del 1976) che rimarrà fissato in menti quali quelle di Stephen King e Cronenberg. Ma è nelle loro prime tracce che si può riuscire ad apprezzare la perfetta commistione fra varietà infinita di generi e suggestioni dotte.
Resta difficile spiegare come mai siano così poco citati, avendo al loro attivo 12 dischi e una carriera iniziata a fine anni ’60 e ancora non conclusa (seppur interrotta da uno scioglimento e 10 lunghi anni dedicati unicamente ai live).
Non classificabile sotto nessuna etichetta (perfino il vasto rock risulterebbe limitativo) è il capolavoro di un gruppo che riuscirà a registrare altri pezzi grandiosi, il più recente Imaginos (1988) ne è la prova, e ad influenzare tanto il metal, quanto il post-punk e la musica industriale. Ma è forse l’hard rock che deve più di ogni altro all’ambiguità di Bloom&Co.
La riedizione del 2001 contiene bonus track più che apprezzabili, ma sicuramente adombrate dall’importanza storica e dalla qualità delle prime 8 tracce, suddivise in due capitoli;
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