V Video

R Recensione

7/10

Calibro 35

Momentum

Gesù è vivo, è re ed è l’unica cosa che conta: lo dice Kanye West, quindi. Tutto il resto è morto, perlomeno nella sua immediata esteriorità. Questo per chi non ha dimestichezza con i piani inclinati. Invece, incuneatisi nelle intercapedini delle architetture impossibili da Superstudio, al tramonto di un sole lattiginoso in oscillazione perenne tra stringa quantistica e solido euclideo, gli esploratori erranti hanno cannibalizzato tempo e spazio in una dimensione utopica da “e se…” della contemporaneità. E se… Come riaprire le enciclopedie delle questioni irrisolte e miniaturizzare una decade – [ˈdɛkeɪd], o forse ['dɛkade] – che de-cade [dɛ'kade] in un momentum. Lasso di tempo irrisorio, puntinistico e pertanto privo di reale realtà, certo, ma anche, più essenzialmente, [moʊˈmɛntəm]: l’impeto, lo slancio, ciò che viene messo in movimento da trazioni precedenti. Un concetto cinematico e cinematografico assieme, l’osservazione in controluce di un cristallo di neve: un’installazione dinamica al centro di un cuore che pulsa. L’assunto, ridotto all’essenziale, è semplice: senza il contesto alimentante di un passato che esiste autonomamente da sé e come altro da sé, in cosciente iterazione con chi o cosa vi si approcci (“Decade”), non è pensabile un presente (che, come ci insegna l’Ipponense, oggi è futuro e domani sarà passato) entro cui plasmare una nuova, organizzata visione delle cose (“Momentum”).

Dell’appunto tecnico. È comprensibile che qualsiasi gruppo, dopo aver scritto un disco monumentale – nel senso etimologico del termine – come “Decade”, si potrebbe sentire giustamente legittimato a campare di rendita, ad inaugurare la semiretta coreutica della variazione su tema (leggasi: se ne conosce l’inizio, non se ne scorge la fine). Non i Calibro 35, ensemble di superuomini che, pur serrati nella perenne ganascia dei mille impegni paralleli (Mariposa, The Winstons e Apocalypse Lounge per Enrico Gabrielli, Arto per Luca Cavina, I Hate My Village per Fabio Rondanini, Massimo Martellotta e la sua copiosa attività solista) e di ritorno da una divertente sgambata collaterale (il trentacinquesimo volume di “High Tension”, uscito per AMS nel 2019, che li ha visti alle prese con alcuni brani del repertorio di Lesiman), impongono finalmente nome e fattezze ad un percepibile fantasma che infestava l’essenza del quartetto sin dal lontano esordio omonimo del 2008: la black music. Perlomeno, l’idea che di black music può avere una formazione di musicisti onnivori, eclettici e preparatissimi come quella all’opera: un contenuto di genere, approcciato e manipolato singolarmente da ogni membro (tre brani ciascuno per Martellotta e Gabrielli, due per Rondanini, uno per Cavina, uno addirittura per il produttore Tommaso Colliva) che trova compimento in una forma semioticamente rilevante, in un contenitore-tramite adatto ai tempi della sua creazione e ricezione e, a sua volta, capace di rifletterne gli accenti più caratteristici. Il momentum del momentum.

Un esempio piuttosto chiaro di come i Calibro 35 abbiano saputo assecondare al meglio le esigenze della nuova, preponderante tracciante artistica è dato dall’ennesimo, impeccabile singolo, “Stan Lee”, in cui voce e rime di Illa J non fungono solo da contrappunto alla grande sartoria soul-funk d’accompagnamento ma, anzi, scelgono di immergervisi in funzione piuttosto dialettica: in questo, il delizioso stacco lounge per chitarre e tastiere che traghetta il brano verso il gran finale va interpretato a sua volta come espressione di una personalità dialogante. È una costante che accomuna e indirizza ogni presenza vocale, esplicitamente espressa al di sopra degli strati strumentali o dispersa in essi, dai BADBADNOTGOOD formato library storica che piroettano con essenzialità attorno a Mercy “MEI” Welbeck (“Black Moon” è l’evoluzione groove-oriented dell’effetto Elisa Zoot, della malia Serena Altavilla o dell’onda lunga Georgeanne Kalweit?), agli alti lamenti della vecchia “One Hundred Guests” che rivivono tra le sincopi ritmiche e i torreggianti synth acidi della curiosa “Fail It Till You Make It” (il jazz londinese contemporaneo che passeggia sulle macerie della fu nu-rave), persino alla cantilena filtrata di Gabrielli che percola incerta nello scarnificato, zoppicante trip hop hard boiled di “Glory – Fake – Nation” (e, all’altro capo della scaletta, a imitare il flauto traverso nel risibile downtempo soulish di “One Nation Under A Format”, il pezzo più unidirezionale e meno felice dell’intero lotto).

È un disco comprensibilmente ambizioso e pertanto non perfetto, “Momentum”, che sotto questo aspetto intende ribaltare gli assiomi fondativi di “Decade” e mediterraneizzare un’idea di suono che, in Italia, non è al momento coltivata – sicuramente non a questo stadio evolutivo, né a questo livello comunicativo. Alcuni tentativi possono già dirsi perfettamente compiuti (i synth urban che si depositano sull’insistito in levare di “Automata”, un esercizio di hip hop distonico di grande spessore: il romantico decollo cold wave di “Thunderstorms And Data”, disciolta in un interludio jazzedelico che subito ribalta le quote da una prospettiva hutchingsiana), altri s’impongono per il loro meraviglioso carattere ibrido (“Death Of Storytelling” è una liquida gemma post-prog à la Tortoise, rinforzata da fiati a lutto e prestata al semovente batterismo dei Roots), altri ancora non rinunciano al tentativo di manipolare nuove fabule con intrecci consolidati (a colpire, di “4x4”, è piuttosto la possente e polifonica epicità degli strati di suono che, nel ritornello, sviluppano in maniera imprevedibile la minimale combinazione di elementi discreti del build up). Per tutte queste ragioni, a più di qualcuno verrà sicuramente la tentazione di definire “Momentumdisco di transizione: come a riferirsi ad una contrapposizione con un’eterna staticità dei riferimenti artistici del gruppo che, nei fatti, non esiste e mai è esistita. Più corretto parlare, nel merito e nel metodo, di adattamento: la stessa strategia evoluzionistica adottata da chi, in un organo deputato ad una funzione, scorge improvvisamente altre e più vantaggiose possibilità.

Momentum, allora. Lo slancio eterno. Che marchia quest’ennesimo capitolo dell’avventura Calibro 35 e la proietta ancora più in là, verso lidi che nessuno ancora conosce. Un brindisi a noi, e a loro, per quello che dovrà venire.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.