V Video

R Recensione

7/10

Calibro 35

Sogni Di Gloria O.S.T.

Aristotele si è premunito di individuare l’origine della commedia nelle falloforie rituali, ma non di fornire un elenco di situazioni-tipo liberamente interpretabili come tali. Con un libero sforzo d’immaginazione, ad esempio, possiamo supporre che si sarebbe alquanto divertito a vedere un cinese di Prato (uno dei dodicimila) circondato da vecchi catarrosi e flegmatici che non spiccicano una sillaba senza ficcarci un’aspirazione. Di certo lo Stagirita, pur considerata la sua estrema apertura mentale nei confronti delle innovazioni apportate da cantori e strumentisti dell’epoca nel campo di loro competenza, non avrebbe mai ascoltato Dome La Muerte, se non altro per una questione di… estetica: ma sarebbe forse scoppiato a ridere nel vederlo, di nero vestito, una pala da becchino sporgente da una minuscola Apecar, un ghigno stampato su una fila di denti marci, ad ossequiare la sepoltura di un vecchio dalla salute di ferro, morto improvvisamente d’infarto dopo aver passato giorni a far finta di essere mortalmente malato per ricondurre il nipote, appassionato di canto e degli Zu, sulla strada di Santa Madre Chiesa.

La grandezza di un gruppo sta (anche) nel suo adattarsi alle situazioni più disparate, senza tradire la propria missione di fondo. La discografia dei Calibro 35 sta ormai assumendo i crismi di un lungo papiro accademico, la loro storia in divenire ha già per molti valore didascalico. C’è un motivo. Non è solo suono, non è solo stile, non è solo songwriting, non è solo estrema prolificità: è la sensazione, perenne, fortissima, di una coerenza interna incrollabile, indistruttibile. Pertanto non stupisca se a “Traditori Di Tutti”, il loro lavoro cromaticamente più cupo e strutturalmente più complesso di sempre, segue una colonna sonora (la seconda originale, dopo quella realizzata per “Said” uscita, in vinile, lo scorso anno) dalle tonalità marcatamente più lievi e spensierate. Non è la prima volta che le strade dei Calibro 35 e di John Snellinberg (pseudonimo dietro il quale si nascondono gran parte dei brutti ceffi, coadiuvati da Patrizio Gioffredi, che danno vita anche ai progetti musicali Dilatazione e La Band Del Brasiliano) si incrociano: era già successo, anche se con brani già editi, per il primo lungometraggio del collettivo pratese, il divertente e sgangherato La Banda Del Brasiliano. Il connubio – un sodalizio sia musicale che “ideologico”, mi si passi il termine – si ripete ora per il notevole sophomore Sogni Di Gloria, film in due episodi in cui i destini di due diversi Giulio (un giovane italiano, metalmeccanico cassintegrato che medita di sbattezzarsi, e un altrettanto giovane cinese, che sogna di integrarsi diventando l’allievo prediletto del vecchio giocatore di carte Maurino, un grande Carlo Monni alla sua ultima apparizione ante mortem) si incrociano sullo sfondo di una sonnolenta, rossa provincia toscana, culla immobile dell’assurdo che più assurdo non si può.

I titoli di testa, giocati su un elegantissimo sgranarsi e sovrapporsi di tonalità che avrebbe fatto la gioia del Bava pop art (quello di Cinque bambole per la luna d’agosto, per capirci: lo stesso già reinterpretato proprio dai Calibro 35), danzano a ritmo del compito shake atonale di “Maionese (Titoli Di Testa)”: minimale nell’impostazione, ma ricchissimo di dettagli strumentali, con la chitarra di Massimo Martellotta sempre ad un passo dal debordare nella funkedelia. Il “Tema Dello Sbattezzato” (uno stornello romano trascritto ed ammodernato da Piero Piccioni) viene ripetutamente ripreso, con le dovute misure, nell’avanzare della tracklist. La lunga introduzione afasica dell’arrangiamento bolero si sposa perfettamente con le grottesche sequenze in cui viene sorteggiato, tramite estrazione da un’urna, il “lavoratore del mese” nell’officina sull’orlo del fallimento dov’è impiegato il Giulio italiano: ancora più astratto è il “Lento Dello Sbattezzamento”, mentre “Tema Dello Sbattezzato (Sospeso)” scivola sugli accenti della main theme dell’Indagine di Petri. La creazione più avvincente è forse un “Notturno” felpato, in cui Enrico Gabrielli (presente con un cameo nella stessa pellicola) si ritaglia un bel segmento al sax: dalla sonorizzazione di Nero e Immobile, primo romanzo breve di Cesare Basile edito nel 2012, viene recuperato il “Tema Di Alice”, sopraffino exemplum di library italiana come se ne scrivevano una volta; l’iniezione ritmica intramuscolare è data dalla torcida de “La Partita”, laddove invece il “Tema Malinconico” traccheggia tra chitarrismi Lee Hazlewood e la conclusiva “Il Tempo Che Non Ho Vissuto”, interpretata di Serena Altavilla (voce, oltre che nei Mariposa, anche ne La Band Del Brasiliano), è un onesto lento leggero.

Arrivare al settimo disco (compresa la raccolta di b-side “Rare”) in sei anni ed avere ancora così tante cartucce da giocarsi è impresa che sta assumendo, pian piano, la fisionomia del miracoloso. Onore ai Calibro 35, allora, finché ce n’è. Ascolto da abbinare obbligatoriamente alla visione della bella pellicola. Sì, Aristotele, vale anche per te…

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.