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R Recensione

6,5/10

Massimo Martellotta

One Man Sessions, Volume 5: Just Cooking

Verrebbe la tentazione, arrivati al giro di giostra conclusivo delle One Man Sessions, di affermare che il sigillo dell’intera operazione non poteva non essere che un comeback scritto con i titoli cubitali, il volume più classico e tradizionale del lotto, giocato interamente tra le mura domestiche – di nome e di fatto. Questo perché, prima di ogni sperimentalismo, “Just Cooking” è un disco sensoriale: godurioso, fisico, materiale, come le squisite pietanze che prestano il nome a ciascun brano o la gamma cromatica, arancione terrigno, che sfrigola sulla cover, sovrastando le tenui parentesi del verde orchestrale di “One Man Orchestra” e dell’azzurro marino di “Underwater”. Infine, la sostanza musicale: il trionfo dell’artigianato tricolore, un appassionato e appassionante lavoro di accumulo supervisionato dal solo Martellotta (qui a chitarre, bassi, piani e tastiere, batteria e chissà cos’altro ancora).

Conservativo sì, allora (“Foie Gras”, con un parco percussioni che guarda direttamente all’exotica, è forse il pezzo che più di ogni altro riesce a sintetizzare dieci anni in quattro minuti), ma con grande ed immutata classe. Non solo: molte soluzioni, che ad un primo e più distratto ascolto sembrerebbero giocate sul filo dello stereotipo popolare (e come tali giudicate), si scoprono invece di profondità assai maggiore, ricche di sfuggenti dettagli sotterranei. Un esempio su tutti: “Carbonara”, uno shake leggermente sbilenco come ne abbiamo sentiti ormai a decine nel canzoniere dei Calibro 35, è arricchita da una serpentina esotica di piano elettrico che svisa liberamente tra l’Umiliani pop art e il funk della Downtown. Di particolare interesse, nell’economia generale, sono i numeri che alimentano la continuità della scrittura di Martellotta con le suggestioni space del recente passato della band madre, un terzetto che interessa la sezione centrale del disco: “Hummer Milkshake” è un Lesiman psichedelico alla prova del trip hop (tom secchissimi, risultato assai suggestivo), “Spacey Kudu” viaggia su un groove scartavetrante, mentre “Midnight Snack” è maggiormente tesa a declinare la maliziosa estetica pop dell’argomento.

Non aggiungerà niente a quanto già si sapeva, ma è certo un arrivederci – almeno per una volta – liberatorio, affidato alle policrome traiettorie afro-funk di “Zighinì”. Così parlò Martellotta!

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