Calibro 35
Traditori Di Tutti
In memoria di Carlo Lizzani
Forse era troppo diffidente con la gente, lui, ma esiste forse una ragione, almeno una, soltanto una, per fidarsene?
L'uroboro del senso comune suggerisce di procedere a ritroso, e noi procediamo. Livia Ussaro ha il volto deturpato, trasformato da una fitta rete di cicatrici: il segno tangibile, incancellabile di una cattiveria che esplode senza preavviso. Profetico, anche, biblico, il numero. Chi perdona un torto subito non lo deve fare una volta solo, ma settanta volte sette. E qui i torti da condonare sono, voilà, settantasette. Sfregi, ragnatele stillanti sangue, il taglione che sembra unica ed onnipotente legge a reggere la candela di Said. Said, pulp di spessore la cui colonna sonora è la prima, originale, firmata dai Calibro 35. La cronologia aggiunge qualche dettaglio interessante in più, e cioè: che gli eroi del revival poliziottesco in musica ed immagine, esordienti sul mercato più di cinque anni fa con l'omonimo album di (quasi sole) cover, registrarono la soundtrack mesi prima di quelle rivisitazioni. Di fatto, Said è ciò che, logicamente, dovrebbe e avrebbe dovuto essere: il primo disco dei Calibro 35. Sicuramente la cosa sorprende, ma non stupisce: la secca ferocia suburbana di quelle trame, sottaciuta per molto tempo e mescolata, in un perpetuo shake, al romanticismo da balera e alle nuove contaminazioni, è filtrata in quantità sempre maggiore man mano che il quartetto+uno si smarcava dagli equilibri dei brani altrui, preferendo puntare sui propri. Serviva un ragazzotto di Kiev, naturalizzato milanese, come pretesto tematico per far detonare ancora la miccia, completamente. Il culmine di identità specifica dei Calibro 35 leggasi: primo platter interamente inedito si riversa, inarrestabile, nel loro opus più teso, cupo, imprevedibile.
Tradivano tutti, la madre sul letto di morte, e la figlia in clinica parto, vendevano il marito e la moglie, l'amico e l'amante, la sorella e il fratello, ammazzavano chiunque per mille lire e tradivano chiunque per un gelato, non occorreva neppure picchiarli, bastava frugare nel fondo melmoso della loro personalità, e veniva fuori vigliaccheria, canaglieria, tradimento.
È frustrante cercare di circoscrivere il suono di Traditori Di Tutti, quasi bastasse mettere assieme la triade Scerbanenco-noir-Enrico Gabrielli per aver ragione di una matassa riconducibile a matrice comune, ma di specificità finora mai così elevata. Parlavano giustamente i diretti interessati di disco (il quinto, ridendo e scherzando...) spiazzante, ed è adamantino che la scelta dell'aggettivazione non prefigura automaticamente scenari finanche grotteschi, come un Fabio Rondanini genuflesso al paradiddle o un Manuel Agnelli (o un Roberto Dell'Era, o una Georgeanne Kalweit) in pianta stabile al microfono. I Calibro 35 fanno ancora i Calibro 35: funkeggiano selvaggi, si danno al prog, annacquano tutto con lampi acidi, sparano le loro munizioni in un turbinio di dinamismo. Radicalmente diverso è il meccanismo con il quale i Calibro 35 si mettono in condizione di fare i Calibro 35. Del tutto nera, e di un nero vissuto e scrostato, era la copertina del capitolo precedente, l'eccellente Ogni Riferimento A Persone Esistenti O A Fatti Realmente Accaduti È Puramente Casuale, qui parzialmente riassorbita da un rosso metallizzato in netta bicromia contrastiva. Questo per dire, sostanzialmente, che al sudiciume si affianca la cattiveria: e questa volta, per la prima volta, non c'è davvero nulla da ridere.
Come far scattare la trappola in maniera efficace, definitiva? Facendo risaltare lo specchietto per le allodole, il brano standard da boogie sfrenato. La torcida psichedelica di Giulia Mon Amour, nel recupero delle dinamiche di Gangster Story, rimane un gran bel sentire, ma possiede una scanzonata forza centripeta, un andamento beat fiero e spaccone, solo vagamente impiastricciato di essenze noise, che rimane mosca bianca, pecora nera nell'intero disco. Persino i gemiti strascicati di The Butcher's Bride (mugula la sempre efficace Serena Altavilla), tema anfetaminico in tastiera con ancheggiare per wah, sembrano quasi mugugni di dolore anziché oasi di piacere, e il Deodato spudorato di You Filthy Bastards! (forse l'episodio meno trascinante, reminiscenze dei solipsismi di Arrivederci E Grazie per chi ha amato lo step precedente), suona monco e minaccioso. Basterebbe anche solo seguire la scaletta dall'inizio per trovare la massima conferma, con quel Prologue, cadenzato e catramoso, che contraddice in termini le aperture languide di un'altra celeberrima opener, Ogni Riferimento A Fatti Accaduti È Puramente Casuale: chitarre arrotolate su loro stesse, sinfonie scheggiate per flauto traverso, una pesante coltre di fumo che proprio non riesce a dissiparsi.
Giù la maschera. Il delitto che si perpetra, stavolta, non ha pari né eguali. Duca Lamberti, e noi con lui, coglierebbe le significative somiglianze tra un capitolo e l'altro... e qui si ritorna all'uroboro, quel rettile bestiale, abominevole, che ingoia la propria stessa coda: è un reiterarsi sempre nuovo e sempre diverso di atmosfere, piani narrativi, strutture portanti. Annoying Repetitions è il tema in flauto di Prologue che scivola su un tappeto di chiodi psych, in un'indeterminatezza kraut tutta nervosismo e contrattura. Per una Miss Livia Ussaro narcolettica e claudicante, Two Pills In The Pocket arrangiamento superbo quasi sembra un pezzo d'artigianato dell'era d'oro di Ortolani, con una potentissima chitarra che si infila tra le fessure crepuscolari di un andante da libreria per solo clavicembalo. Le vele di Traitors si gonfiano sotto la spinta di uno scurissimo arpeggio terzinato sgraffignato al Fripp di One More Red Nightmare, poco prima che la fisicità abbia sopravvento e, con essa, la delinquenza funk. Se Mescaline 6 è un Piccioni inedito ingoiato da un Gabrielli versione Manzarek, è però One Hundred Guests, nel suo elemento Stax coccolato da liscivie strumentali e seppellito da una grandinata di colpi con celebrazione corale della lapidazione, ad impressionare fino in fondo per tiro, intensità, variazione, esuberanza.
Traditori Di Tutti, senza temere smentite, è il disco migliore di un gruppo finora incapace di mostrare cedimenti.
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