A Calibro 35 @ Unwound (PD), 09/04/2011

Calibro 35 @ Unwound (PD), 09/04/2011

Archeologi di un glorioso passato? Forse. Approfittatori di un patrimonio, quello delle soundtracks “all’italiana” – uno dei pochi casi per cui ci si può davvero vantare di aver eretto una categoria di artisti a parte –, che si limitano ad aggiornare ai tempi d’oggi, senza sostanziali modifiche? Opinabile. Cavalcatori sonici di un revival, partito dai vertici alti e diffusosi attraverso il basso, che si sta allargando a macchia d’olio? Ad ognuno il suo. I giudizi esteriori ed il chiacchiericcio da parrucchiera aleggiano, vacui, nell’aria prematuramente afosa di una periferia padovana che straripa di curiosità ed entusiasmo verso il quartetto + uno capace di riportare all’attenzione nazionalpopolare le spericolate evoluzioni dell’anfetaminico prog-funk de noantri, passamontagna inseguimenti in moto sparatorie lotta trucida compresi nel biglietto. Con i ritmi e gli incastri attuali, peraltro, quella dell’Unwound rimarrà probabilmente una delle ultime occasioni di vedere i Calibro 35 umanamente, se mi passate il termine. Tre dischi in quattro anni, partecipazioni a destra e a manca, canzoni nate con l’intento encomiastico di seguire toni da colonna sonora che colonne sonore lo diventano poi per davvero, un cameo in “Vallanzasca” di Michele Placido, l’apertura a San Siro per i Muse: la divisione tra arte e vita reale si confonde dilatata dai wah wah e la compagnia di musicisti, capeggiata dal sergente Enrico Gabrielli, tende ad identificarsi nello scorrere temporale in cui si dibattono i protagonisti dei tanto amati poliziotteschi. Una vita spericolata, di quelle che non dormi mai: alla faccia del dio Morfeo.

Nessuna traccia della band spalla annunciata in extremis, i misteriosi Pazi Mine. Meglio così, non ce ne vogliano: la botta viene assorbita senza posizionamento di fondamenta, senza prolisse diluizioni. Zero preamboli, silhouette discrete sul fondo e via a suonare. Un attacco lussureggiante, con divagazioni telluriche su classico tema afro (“L’Uomo Dagli Occhi Di Ghiaccio”), spiana la strada a “Summertime Killer”, rifacimento del tema composto da Luis Bacalov per “Ricatto alla mala”, durissimo frontale che incoccia su un guard rail di tastiere detonanti e dissonanti. La platea ascolta, (quasi) in silenzio, applaude discretamente: solo qualcuno si azzarda a seguire l’irrefrenabile ritmica della premiata ditta Fabio Rondanini/Luca Cavina. Il passo successivo è la caduta della cittadella della buona educazione, il trionfo della concretezza. A fine serata il gruppo ci racconterà di tornare da un massacrante tour de force, tra le sonorizzazioni di “Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare” e le intense, parallele attività live (Zeus! in primis), ma la stanchezza è l’ultima emozione tangibilmente percepibile in un concerto che si consegna ben presto all’Olimpo, inanellando via via le perle migliori di “Ritornano Quelli Di… Calibro 35” e della recente raccolta di b-side, “Rare”.

Eurocrime!” restaura interamente l’arsenale dirompente della blaxploitation, imponendosi con un sudatissimo riff su di un semovente tappeto di fiati. “Convergere In Giambellino” convoglia il funk suburbano della Mediolanum metallizzata, scaricandolo seducente sulla folla, travolta ora da fiumi di suono impetuosi – la versatilità della chitarra di Massimo Martellotta è, a tratti, stordente –, ora palpabilmente salvata da ancore di fuga, come il flauto traverso de “L’Esecutore” e l’acuminata mollezza lounge di “Gentilsesso E Brutali Delitti”. Milano da bere, quella dei toni più solari e disimpegnati (vedi un’imprevista e strepitosa esecuzione di “Shake Balera”, dalla colonna sonora di “Girl With The Gun”, o l’infilata a tradimento dell’immortale “Bouchet Funk”, improvvisata zampata prog by Osanna che accompagna la lap dance dell’attrice più bella di sempre in “Milano Calibro 9”), molto più spesso Milano da crivellare, a colpi di sudici machete – la grattugia di “Notte In Bovisa” strappa consenso unanime – ed imprendibili testacoda, con cori al posto delle sirene e continui potenziamenti ritmici (“Gangster Story”).

La prima parte del set viene chiusa da un’intensa e tesissima “Il Consigliori” (original made by Riz Ortolani, mica uno qualsiasi), forse unico brano in cui la tensione all’accumulo prevale sull’impeto dell’istante, sulla vittoria dell’istinto. Profetico parlarne, perché nel bis i Calibro 35 addormentano la questione canzoni-loro-sì-canzoni-loro-no, preferendo indossare i panni di consumata jam band alle prese con materiale sempre più infiammabile. L’ultima mezz’ora è infatti un inestricabile coacervo di jazz, rock, prog e funk lanciati a velocità e volumi sempre maggiori, a formare soluzioni che non sarebbero suonate nuove nemmeno all’orecchio di un navigato ascoltatore degli anni Settanta, ma che certamente catturano ed entusiasmano. Dialoghi ridotti al minimo, una professionalità portata fino in fondo e tanta, smodata voglia di divertirsi: la gente dell’Unwound è tutta con loro e dimostra di assorbire bene anche la piccola delusione per la mancata riproposizione del loro cavallo di battaglia, il tema principale di “Milano Odia” di marchio Morricone.

Dinamici, briosi, frizzanti: la vittoria più grande per i Calibro 35 è stata quella di suonare, alla faccia dei paragoni, sempre e solo come i Calibro 35.

Per approfondire: http://www.calibro35.com

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