R Recensione

8/10

Oneida

Preteen Weaponry

Parlare degli Oneida è decisamente imbarazzante. Imbarazzante davvero. Per una volta però il problema non è cercare di trovare le parole giuste per stroncare l’ennesimo gruppo mediamente mediocre, bensì è la difficoltà di non esagerare nell’elogio sfrenato che si rischia di compiere. È il rischio di scadere nel patetico, nel melenso, di passare per un partigiano completamente acritico e irresponsabile. È il rischio di diventare come certi fan degli U2 o dei Queen che non riescono nemmeno a concepire che i loro beniamini possano aver fatto qualcosa di brutto o scadente.

Eppure bisogna dirlo, a costo di perdere una certa credibilità facendosi spernacchiare impietosamente: gli Oneida sono uno dei più grandi gruppi rock di sempre nonché la migliore espressione della musica psichedelica degli anni ‘00s. Nonostante infatti il loro lp d’esordio dati 1997 (A place called El Shaddai’s) la band ha senz’altro dato il meglio di sé in questo decennio sfornando capolavori imperiosi come Each one teach one e Secret wars, sorprendendo in continuazione l’ascoltatore con piccole rivoluzioni come i recenti The wedding e Happy new year, e non annoiando mai neanche con calibri “medi” come Anthem of the moon.

Il sottoscritto da buon partigiano oneidiano in effetti non ricorda un solo disco (lp o ep) che possa essere criticamente definibile brutto.

Ora l’ennesima svolta: dopo essersi baloccati con il formato canzone tra i più diversi stili influenzando e facendosi influenzare qua e là (wave, stoner, post-punk, alt-rock, hard-rock, eccetera) gli Oneida se ne escono con un disco che viene annunciato come il primo di una trilogia intitolata "Thank Your Parents". Ed è un approdo-ritorno alla psichedelia più pura e krauta. Quella che nasce e muore negli anni ’70 e che trova i suoi punti di riferimento in Amon Duul 2, Ash Ra Tempel, Tangerine Dream e compagnia bella. Oppure potrebbe essere l’incontro-scontro tra le partiture dei Pink Floyd periodo A saucerful of secrets-Ummagumma e la violenza sonora dei primi Spacemen 3. Oppure se uno vuole si può anche tirare in ballo la tanta buona neo-psichedelia di questi ultimi anni che elenca nomi preziosi come Warlocks, Bardo Pond e Acid Mothers Temple.

Il territorio è sempre quello in fondo però sembra di poter dire che Preteen weaponry vada a rispescare direttamente dalle radici, centrifughi il tutto dando una rapida scorsa ai progressi intervenuti nell’elettronica degli ultimi trenta anni e poi costruisca il suo piccolo puzzle che suona meravigliosamente come la ricerca di una summa sonora di quel mondo così lisergico e allucinato che era quella psichedelia krauta. È in fondo il tentativo degli Oneida di omaggiare quel movimento e quel periodo con un’opera che sembra nata con l’obiettivo di porsi come “classica”. Musica classica ma in versione psichedelico-tribale. E per compiere la soluzione che viene scelta è presto decisa: spazio libero a Kid Millions (che si conferma uno dei batteristi più virtuosi ed efficaci in circolazione) nelle sue scorrerie percussioniste mentre gli altri si occupano di costruire un piccolo wall of sound minimale, un’opera architettonica solida e allo stesso tempo fluttuante che gode di piccoli squarci sonori fluidi: un accenno di chitarra acida qui, una scossa di synth duro qua, un leggero giro di basso laggiù, e così via.

Di fatto Preteen weaponry è diviso in tre parti ma potrebbe essere tranquillamente inteso come un unico brano quasi interamente strumentale. La prima parte è probabilmente la migliore: il drumming selvaggio ma regolare scandisce impeccabilmente l’andatura e assume le fattezze di un inno orgiastico alla frenesia. Ed è curioso come gli Oneida riescano nell’intento poggiando su una soluzione circolare alla Can, di fatto semplicemente accelerata e immersa in un calderone di noise leggero (o shoegaze) creato ad arte grazie al feedback e all’effettistica elettronica varia.

Nel finale del brano la danza sfrenata cessa e parte un’inquietante tempesta space-rock che introduce alla seconda parte, più lisergica, sinistra e inquietante. Il ritmo si assottiglia e assume le fattezze di una processione verso il patibolo o di una chiamata verso l’oscuro. Stavolta non siamo tanto distanti da un viaggio cosmico a braccetto di Popol Vuh, Ash Ra Tempel e Tangerine Dream. Millions rastrella con calma pesanti battiti mentre vortici elettronici si spandono in un aere nebbioso e famigerato.

L’ultima parte è segnata dal ritorno in grande stile di Kid Millions che infuria con il suo ritmo forsennato mentre intorno nubi di synth e tastiere ammorbano forse anche eccessivamente l’atmosfera rendendola artificiale e alienante.

Forse è un peccato che il tutto si chiuda in maniera un po’ anonima, senza lampi o particolari apici qualitativi. Come se un velocista stramazzasse a terra dopo aver raggiunto il traguardo. Ma in fondo va bene così. Ci è stata regalata un’altra corsa sublime.

V Voti

Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 7 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
krikka 5/10
rael 6/10
Tizio 8/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Ivor the engine driver alle 11:08 del 23 luglio 2008 ha scritto:

devo ancora digerirlo per benino, ma concordo sulla valenza estrema degli Oneida. Alcune cose mi piacciono di + altre meno, ma il livello medio sempre eccellente. Per ora la mia impressione è un album tributo ai Can + inebetiti (ossia monotonamente storditi) e quindi molto tribali. Da digerire con calma estrema, + di loro altre prove. Non voto per ora

Henry Trave alle 14:03 del 24 luglio 2008 ha scritto:

non vedo l'ora di comprarlo!

bella recensione, sono un grandissimo fan del gruppo, reputo però Anthem of The Moon, uno dei loro migliori album, inferiore solo all'inarrivabile Each one Teach One.

rael (ha votato 6 questo disco) alle 11:06 del 19 settembre 2008 ha scritto:

si stanno livellando?

Uallarotto (ha votato 9 questo disco) alle 16:51 del 19 settembre 2009 ha scritto:

Vero, sembrano gli Amon Duul II di "Yeti Talks to Yogi" più i Can più allucinati. Dopo un anno digerito appieno, disco spettacolo.