Puttanesca
Puttanesca
Lavvento del 2007 ha apportato una ventata di fresche novità musicali da non sottovalutare. Una delle, per così dire, new entries, è costituita dai Puttanesca, complesso losangelino ufficialmente formatosi nel 1996, che ha esordito lanno scorso negli States, dopo dieci anni di rodaggio, con lomonimo esordio. Lamalgama fra questi quattro straordinari musicisti, come sono di fatto Joe Baiza (chitarra elettrica), Weba Garretson (voce), Ralph Gorodetsky (basso) e Wayne Griffin (batteria), porta i Puttanesca ad essere una delle realtà più importanti del nostro presente. La loro musica è un equilibrio fra raffinato e ricercato, fra esplosivo e bilanciato, in un veleggiare di impulsi e lampi di genio, alla perenne ricerca di coniugare fra loro generi eterogenei (il punk con lacid jazz come il blues con il funk e la psichedelia).
Il lavoro si apre con Shift, pezzo idealmente divisibile in due parti: la prima, molto intimistica, dove a dettare legge è la voce carezzevole della Garrestson (delicatamente accompagnata da un sottofondo di batteria graffiata); la seconda, più grintosa, in cui compaiono sia il basso che la chitarra a sporcare, con accenni psichedelici, le iniziative vocali della cantante. Si prosegue con Fruit Filled Pancake, canzone dalle ridondanze blues, dove il tocco sciamanico di Baiza si concretizza in un assolo sporco e, allo stesso tempo, elegante.
Ma anche la grinta vuole la sua parte: compare il punk nella seguente Shiny Red Box, una miscellanea fra accordi più duri del solito (con un altro convincente assolo, acuto e tremolante) e un tappeto di sassofoni caldi ed avvolgenti. I ritmi dispari di Firecracker Girl trovano terreno fertile nella simbiosi con il timbro crooneristico di Mrs. Garretson, abile a regalare al tutto un pizzico di morbido funk. Ma è con la quinta Action Hero che ogni membro del gruppo impone il proprio imprinting al risultato finale: se la chitarra esce fuori dagli accompagnamenti, per inerpicarsi in tentativi solitari atti a regalarle maggiore visibilità, il basso si sente più presente, la voce scopre nuove profondità, e con esse nuovi sistemi per esplorarli (un esempio su tutti, i coretti), la batteria è più decisa nel segnare il tempo, abbandonando un po quellaura accomodante che fino ad allora laveva caratterizzata.
Si sperimenta ancora con White Nylon, dove gli accordi di chitarra sanno di Carlos Santana ed il basso viene portato, per la prima volta, ad unesibizione solitaria, dopo un drumming di batteria, tanto veloce quanto soffuso e delicato. La tromba che caratterizza lincipit di Red Haired Woman è il preludio per la traccia più delicata e, allo stesso tempo, coinvolgente, dellintero album. La batteria guadagna sempre più spazio, evitando di sconfinare rumorosamente nelle parti vocali, mentre un flauto traverso accompagna i gorgheggi della grande Weba. Solo le chitarre, alla fine, sono un po sottotono, ma la ricchezza sonora complessiva è davvero soddisfacente.
E il turno di Spider, una breve scheggia ribelle di acid jazz, arricchita da alcuni beat funk, che viene rinforzata successivamente da Watch Out, un pezzo dal forte impatto swing, coronato da una chitarra in stato di grazia davvero iperattiva nellaccompagnamento e da un cantato nervoso, veloce e ribelle, dallattitudine che più punk non si può, esclusa una finezza stilistica nel finale. Conclude il tutto una cover di Lick Off My Decals, Baby, brano di Captain Beefheart, realizzata con furbizia, raffinatezza, limmancabile classe e un discreto pizzico di coraggio, nel mescolare il crooning ad accenni di hard rock (in tempi e controtempi, nonché rullate, di una batteria scatenata).
Davvero un ottimo album, della serie il coraggio paga: i quattro di Los Angeles hanno saputo rischiare, ottenendo un grande risultato; si aprirà ora un ciclo? Sperando che la risposta sia affermativa, non resta che constatare che almeno dieci anni di compagnia sono serviti a qualcosa.
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