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7/10

Germanotta Youth

Germanotta Youth

Fabio “Reeks” Recchia è uno di quei workaholics per cui pensiero ed azione formano un tutt’uno indissolubile. Pragmaticamente, questa iperattività si traduce in un’esplosione a getto continuo di dischi e progetti, eterogenei ed eterodossi. Grande, a tratti, è la frustrazione dell’ascoltatore che sta dall’altra parte, investito da una raffica di palline da tennis invero lontane dal vuoto astrattismo intellettuale di Blow Up ed incapace di tenerne sempre e comunque il conto. Per dirne una, l’anno scorso abbiamo mancato di riferire di Surgical Beat Bros, un duo nuovo di zecca con Antonio Zitarelli dei Mombu, autore – tra settembre e dicembre – di un omonimo s/t in settembre (FromScratch Records, 39:49) e dello “Shuriken Split” con gli Uochi Toki (un 12” in vinile trasparente, 300 copie numerate, sempre per FromScratch Records, 15:45). Non è escluso che un giorno ne parleremo, così come parleremo dei Pharm, dei primi passi dei Nohaybandatrio, di chissà cos’altro… Sperando di essere perdonati, rivolgiamo ora altrove la nostra attenzione.

Il comeback dei Germanotta Youth, a quattro anni dal modesto “The Harvesting Of Souls” (ma a tre dall’EP “The Final Solution”), vede all’opera una nuova formazione, anch’essa asciugata in duo, con Recchia a suonare contemporaneamente synth e basso (nel posto che fu di Massimo Pupillo) e Giulio Galati dietro le pelli, a picchiare e martellare con l’ossessività del gabber e la ferocia del grindcorer. Che, detta in questa maniera spiccia, finanche brutale, sembra non marcare differenza alcuna con il marasma programmato del primo full length, un esercizio rumoristico sicuramente spassoso, ma privo di reale contenuto. Qui, invece, pur rimanendo la cifra stilistica perfettamente riconoscibile, sembra che sia in azione tutta un’altra band. Merito di un assetto più minimale, dunque più concentrato? Di una scrittura più efficace? Di un tempo di scrittura più ragionato? Tutto può essere. I coltelli affilati sulla mola di questo secondo s/t vengono sparati in ogni direzione e, quando vanno a segno, si fanno sentire fino in fondo. Ciò consente a “The Succubus” di suonare come una versione bizzarramente Carpenter degli Agoraphobic Nosebleed imbufaliti di “Agorapocalypse” (una tonnara cybergrind da cui non si esce, se non intontiti e tumefatti), a “Gore Matrioska” di aprirsi in due al sopraggiungere di un break futuristico un po’ kitsch, ma sicuramente efficace, a “Techno Viking” di rimbalzare senza sosta, in un florilegio di effetti harsh, sprofondando nella cacofonia.

Impressiona la rinnovata, millimetrica quadra matematica di un suono che – evitando contraddizioni interne – presenta una stratificazione tale da poterlo bollare tranquillamente come prog: un math-prog, ovviamente, contorto, sintetico assai più che analogico, spietato senza perdere in dettaglio e precisione (è sufficiente ascoltare le due parti di “Blackfriars Bridge”, la prima catacombale dark ambient, la seconda combustione math-core dagli echi vagamente Pendulum). Continuano a coesistere, s’intende, lo scherzo e la progettualità intenzionale, la risata e il ceffone (gli 8-bit demenziali di “Super Mario Blast” e la cavalcata delle Valchirie di “Magellan Barbeque”), ma tutto assemblato seguendo un’infallibile chirurgia strumentale che, in “The Harvesting Of Souls”, passava decisamente in secondo piano. Un brano come “A Serbian Kolo” è ammirevole da molte prospettive: l’allure è gelido, sfrontato (a Fabio Recchia sarà piaciuto l’opus di Srđan Spasojević?), la melodia nitida, elaborata ed ipnotica, il groove devastante, il tasso tecnico indiscutibile. Una lezione appresa da autodidatti (oserei dire, sulla scorta  del songwriting dei Nohaybandatrio, recentemente ridottisi ad un duo in cui Reeks suona in tapping chitarra e basso assieme), un pugno di caratteristiche che mai avremmo pensato di attribuire, quattro anni fa, ai Germanotta Youth.

Colpito e affondato. Davvero un bel disco.

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