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R Recensione

6,5/10

Cagna Schiumante

Cagna Schiumante

Si sorride, a denti stretti, nel vedere le facce emaciate di loschi figuri, provate dal duro lavoro che richiede scrivere, suonare, produrre e promuovere un disco: nel constatare che, per molti, tre anni di iato e riflessione sono ancora pochi – quasi come se una canzone fosse una grande opera all’italiana, da realizzarsi attraverso infinite trafile burocratiche, sperpero di danaro e intere generazioni di opinione pubblica. Particolarmente acuminata diviene poi la smorfia, se diciotto mesi svaniscono in un delirio di iperarrangiamento, in un difetto di sostanza. Si guardi poi un’altra realtà, l’universo parallelo di chi fa il mestiere del musicista (affronto inconcepibile) e, tra una session e l’altra, magari per foraggiarsi… si prostituiscestaccalaspinavaalavorareacottimosirendesocialmenteutilecollaboraconlibriearticolieopinionichenessunoleggerà… no. Suona. Ancora! Il disco dopo il disco. Un disco tra i dischi. Un disco che alimenta il disco successivo. Dischi a getto continuo.

Grazie al cielo, ce ne sono ancora molti, di questi eroi romantici senza macchia né paura. In mezzo a loro (i Gabrielli, i Manzan, gli Spaccamonti, i Dorella, i Bernocchi, i Pupillo, chi più ne ha più ne metta), sugli scudi, Xabier Iriondo, quarantatrè anni, padre basco e madre italiana, chitarrista e mente di Soundmetak, membro di Afterhours e luminoso artista solista, e il resto lo sapete. Che cos’ha fatto negli ultimi due anni?, vi chiederete voi. Scritto ed arrangiato “Padania” della band madre, scritto ed arrangiato lo spettacolare esordio solista (“Irrintzi”), scritto e suonato “Non Vogliamo Un Paradiso” degli Oleo Strut, arrangiato gli ultimi due dischi di Paolo Saporiti, rimesso in piedi The Shipwreck Bag Show, condiviso un 7” e un 12” con ?aloS (Stefania Pedretti degli OvO), eccetera eccetera. Affiancategli, hic et nunc, un altro chitarrista d’eccezione: diciamo, Stefano Pilia, trentasei anni. Che cos’ha fatto negli ultimi due anni?, vi chiederete voi. Scritto e suonato “Aspettando I Barbari” dei Massimo Volume, scritto e suonato “White Sun Black Sun” degli In Zaire, scritto e suonato “Canto Secondo” de Il Sogno Del Marinaio (graditissimo comeback, presto su queste pagine), accompagnato la stella del soul africano Rokia Traoré lungo il suo tour europeo, condiviso un eccellente vinile in trecento copie con Paolo Spaccamonti (“Frammenti / Stand Behind The Man Behind The Wire”), eccetera eccetera. Manca un batterista? Eccolo qui: Roberto Bertacchini, classe 1965. Che cos’ha fatto negli ultimi due anni?, vi chiederete voi. Rimesso in piedi The Shipwreck Bag Show (…oh oh…), scritto e suonato “Non Vogliamo Un Paradiso” degli Oleo Strut (…oh oh…), mossosi a destra e a sinistra, eccetera eccetera.

Principio vorrebbe che questi tre scoppiatoni si rinchiudessero in una bocciofila e rimediassero nello specifico alle erculee fatiche di cui sono stati protagonisti: ciò che nasce è, invece, un altro crocicchio di teste pesanti, Cagna Schiumante (!), cui bastano i cinquantanove secondi dell’iniziale “Un Uomo Senza Braccia” per ridefinire un nuovo manifesto artistico: ritmiche scomposte in frattali non sovrapponibili, ferite elettroniche autoinferte, stridente controcanto chitarristico, recital asettici riorganizzati sull’asse di un dadaismo lirico ascrivibile a certa avanguardia italiana (ve lo ricordate, Francesco Currà?). Il flusso copioso delle parole in libertà di Bertacchini, che potrebbero durare due come duecento minuti, svela in anticipo il dipanarsi logico dei sedici pezzi che vanno a comporre l’omonimo esordio del supergruppo (trecento copie numerate in vinile, le prime cento colorate): versi criptici e alogici, collegamenti e corrispondenze, disturbi e lussazioni. Il grottesco e rachitico bel canto di “Ciò Che È Importante” – american gothic semisintetico ridotto a lamento senza profondità –, gli arpeggi slintiani nel vuoto scricchiolante de “La Breve Estate Dell'Anarchia”, il disarticolato insistito free jazz di “E Non Smettere Di Pensare” (con rovesciamento harsh), il Sommacal ammattito di “Camminando In Un Deserto Post-Punk”, la pantomima floydiana di “Che La Civiltà”, gli schiaffi damosuzukiani di “Come Un Cane Che Annusa Il Vento”, il pasto nudo della title track… Si fa prima a dire cosa Cagna Schiumante non arrivi a decostruire, violentare, riplasmare, in quaranta minuti che toccano il loro apice nello straniante trotto blues di “È Respirare”.

Workaholics nello stivale dei nati stanchi. Sprecati? Ditelo forte.

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