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R Recensione

7,5/10

Xabier Iriondo

Irrintzi

L’Iriondo prodigo. Quello che lavora nell’ombra e tesse uno, dieci, cento fili, una ragnatela, un insieme di ragnatele. Dove passa lui, non crescerà più l’erba ma, in compenso, fioriscono le collaborazioni. Produce, suona e scrive con tutti: (Damo Su)Zu(ki), gli OvO, ?aloS. Ritorna dopo più di dieci anni in seno alla band madre, finita in mezzo ad una terribile secca creativa con la pubblicazione del pessimo “I milanesi ammazzano il sabato”, ed ecco che (ri)nasce la poetica sgraziata, maligna, dissonante dei primi Afterhours, cullata peraltro da una maturità espressiva che prima veniva difficile riscontrare. Poi arriva il disco solista, primo in una carriera ventennale (!), quell’”Irrintzi” che è omaggio alla cultura basca di provenienza, omaggio alle pietre miliari degli ascolti della propria adolescenza – e non solo, immaginiamo… –, omaggio ai finti ossequianti che fintamente omaggeranno a loro volta ciò che non può essere omaggiato: un doppio vinile che accoglie, da un lato, quattro brani originali, e dall’altro lascia sprigionarsi cinque cover che sono manifesto di sfrontatezza, vitalità, integrità intellettuale ed artistica.

Descrivere, già… ma cosa descrivere, nello specifico? Ad ogni brano Xabier lega indissolubilmente una cartolina: un’immagine, una riduzione visiva della complessità strategica emanata a tratti, evocata più spesso da “Irrintzi”. E finisce che le “cover” non siano poi davvero cover, tale è il livello di imbruttimento e destrutturazione alla quale sono condotte, come agnelli (giochino…) al macello. Il solo groove incandescente di “The Hammer”, spettacolare sintesi dello spirito Motörhead che chiudeva l’ispiratissimo “Ace Of Spades” del lontano 1980, si rende immediatamente e tangibilmente riconoscibile, nonostante il rimbombare di sorde percussioni e l’assaltare di poltiglia noise monti sul ringhio sacrale della sempre impeccabile Stefania Pedretti, chiamata – assieme al provvidenziale Bruno Dorella – ad incarnare il non semplice ruolo di Lemmy della situazione. In molti casi la scelta delle reinterpretazioni, che in mano d’altri potrebbe aspirare al più a lambire il vasto oceano del weirdismo, assume connotati assai più sfumati e disturbanti. “Cold Turkey” è John Lennon di seconda fascia e di pregiata annata, misconosciuto ai più perché dolorosamente (o sarcasticamente? Le sfaccettature del testo sono variamente interpretabili…) alle prese con la propria disintossicazione dall’eroina: dal rehab fisico alla saturazione sonora, che gira su di un acido perno di chitarra iterato con melodia r’n’r e insistenza kraut, sino al dissolversi di strofe e ritornelli nel clangore conclusivo. “Reason To Believe”, da “Nebraska” di Bruce Springsteen, muta l’acustica americana in ossessivo gancio industrial sul quale veleggia paradossalmente la voce filtrata, di velluto, di Paolo Saporiti (al quale, bene sottolinearlo, Iriondo ha curato gli arrangiamenti per il recente “L’Ultimo Ricatto”). Battono pizzicori elettronici e macchine da scrivere nel recital pirandelliano di “Preferirei Piuttosto Gente Per Bene Gente Per Male”, accostabile inizialmente agli inquietanti monologhi a briglia sciolta di certi, ultimi Mariposa: salta poi fuori che il pezzo è un mash-up tra una criptica scheggia di dadà controculturale italiano (“Preferirei Piuttosto” di Francesco Currà, da “Rapsodia Meccanica” del 1976) e uno degli episodi più luminosi del cantautorato nazionalpopolare (“Gente per bene e gente per male” di Battisti, da “Il Mio Canto Libero” del 1972). “Itziar En Semea” è, infine, folk basco trasformato in colonna sonora di attivismo politico dagli antifranchisti Pantxo Eta Peio, e qui maciullato in pruriginoso noise catacombale.

La verità? Un suicidio così oculatamente pensato, pilotato, concretizzato, un ceffone così esplicito a certa, estetizzante facciata “musicale” (perché di bicchieri vuoti e bicchieri rotti stiamo, frippianamente, parlando) mancava in Italia da vent’anni, da quando i Rifiuti Solidi Urbani utilizzarono gli stessi studi di registrazione di Elio E Le Storie Tese per coniugare poetica industrial a pesantezza grindcore, techno svalvolata e rasoiate metalliche in un esordio, omonimo, tuttora insuperabile. Si era, nel 1994, sopra di una faglia che prometteva dissesto, culturale ancor prima che sociale. “Irrintzi”, nel 2012, cerca di ricreare il medesimo ambiente, variando però bersagli e munizioni, come bene dipingono i quattro inediti. “Gernika Eta Bermeo” è la presa di coscienza politica, il resoconto in basco del padre di Iriondo sul bombardamento di Guernica frastagliato da archi free jazz in sospensione e manipolazione di nerissimi loop lynchiani. La title track si muove su di una linea melodica (?) asciugata sullo schema dei quattro accordi e mandata in pezzi da bordate glitch, divagazioni elettroniche, ruggenti distorsioni vocali. La percussività di “Elektraren Aurreskua”, composizione di particolarismo folk fuori tempo massimo tra fischi selvaggi e cornamuse, si distende infine nel capolavoro di “Il Cielo Sfondato”, che fa ricamare surreali sentimentalismi per sax ed elaborati assoli di chitarra (impressionante, ancora oggi, la creatività di Paolo Tofani degli Area) sull’ordito arpeggiato di uno scheletrico, magnetico bordone di fondo, performato da uno speciale strumento indiano, lo Shahi Baaja.

Impossibile arrivare compiutamente e definitivamente a capo di “Irrintzi”, un libro di testo che fa corrispondere un corollario per brano e si presta a scatenare una ridda irrefrenabile di quesiti intorno a curiosità in merito, un po’ come accadeva per le avanguardie di metà secolo scorso, o per gli sperimentalismi degli anni ’70: pregio insolito per un disco e sempre più raro nella musica tout court. Piacerà o non piacerà, dipenderà molto dal gusto specifico dell’ascoltatore. Nel mentre, siamo fieri di dire che è: e, come tale, si dovrà necessariamente affrontare.

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C Commenti

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glenn dah alle 12:28 del 19 settembre 2012 ha scritto:

grrrande ssciabiè!

Biasio, ti consiglio di tenere d'occhio anche il nuovo di Paolo Cantù, sempre per Wallace...

Gabs alle 10:31 del 21 settembre 2012 ha scritto:

Xabier è un mio vecchio amico.

Pensando a lui e ascoltando il disco mi viene in mente questa implicazione logica matematica secondo cui se

Xabier è un CHITARRISTA

e

Xabier è un IRREDENTISTA MUSICISTA BASCO

L'essere CHITARRISTA è allora una CONDIZIONE SUFFICIENTE perchè sia un IRRINTZI-MUSICISTA-CHITARRISTA.

Lo Xabier-IRRINTZI è anche CONDIZIONE NECESSARIA perchè sia un CHITARRISTA.

Infatti se Xabier non fosse un IRRIDENTISTA MUSICISTA BASCO, non potrebbe essere il CHITARRISTA che è!

Quindi una è CONDIZIONE NECESSARIA E SUFFICIENTE per l'altra.

Nel TEOREMA di IRRINTZI, questo interessantissimo e destrutturato disco solista del mio amico Xabier, la VERITA' dell'IPOTESI è condizione SUFFICIENTE per la VERITA' della TESI; nello stesso modo la VERITA' della TESI è condizione NECESSARIA per la verità dell'IPOTESI.

Per la matematica l'implicazione CHITARRISTA => IRRIDENTISTA MUSICISTA BASCO è V E R A!

In questa equivalenza logica ognuna delle PROPOSIZIONI (CHITARRISTA, IRRIDENTISTA MUSICISTA BASCO) viene espressa dicendo che

(CHITARRISTA) è vera se, e solo se, (IRRIDENTISTA MUSICISTA BASCO) è vera.

Scambiando l'IPOTESI con la TESI è VERA la PROPRIETA' INVERSA.

Quindi le due proprietà diventano un'unica proprietà:

Xabier CHITARRISTA <=> Xabier IRRIDENTISTA MUSICISTA BASCO

Questo è un disco V E R O, un doppio long playing a tratti ostico e difficile; è un disco colto e sperimentale...a tanti non piacerà affatto!

Equivale a dire che non è un disco per tutti!

In ultimo voglio ricordare la figura del Papà di Xabier: Irrintzi è sicuramente un omaggio alla sua memoria.

Gabz.

Fertuffo alle 14:18 del 20 settembre 2012 ha scritto:

Per Gabs:

Ottimo virtuosismo logico... ma una domanda... che minchia è un irridentista??? Forse intendevi un irredentista?? Ho cercato su vichipédia, ma sembra che irredentismo sia un concetto opposto alla vera identità basca... Chiedo lumi

Gabs alle 10:31 del 21 settembre 2012 ha scritto:

Beh, è evidente che nella concitazione è scappato il dito sulla -i- anzichè sulla -e. Trattasi quindi di un banale errore grammaticale credo perdonabile... Peccato che non si riesce a correggere il testo che ho scritto....Irrintzi, oltre che inteso come grido è anche il nome di un gruppo armato nazionalista Basco per l'appunto. Oh, anche tu però non scherzi con Wikipedia...eh eh eh. Starò più attento in futuro alla grammatica e alla sintassi. Nessun virtuosismo logico, io sono un matematico.

Fertuffo alle 19:25 del 20 settembre 2012 ha scritto:

Ok, tutto risolto. Ci andai un paio di volte in EH. Terra splendida, a mio modesto parere, aldilà dei risvolti politici. Kaixo

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 11:33 del 4 gennaio 2013 ha scritto:

Grazie Bisius per la suprema recensione e a Iriondo perché è uno che confeziona e suona nei dischi con la voglia di stupire, e soprattutto la fame di comunicare, di un artista slegato da questa epoca e dai suoi valori. Un disco d'altri tempi davvero.