Cabeki
Da Qui I Grattacieli Erano Meravigliosi
Pende un enorme sole rosso di cartone sopra la testa di Glauco-Piccoli, lalienato ingegnere protagonista del ferreriano Dillinger è morto (1969), che nella violenza fisica e nellescapismo psicogeno inutilmente cerca di sottrarsi alla propria annichilente quotidianità: un astro senza calore che è gargantuesca reificazione dellapocalisse, ma che allo stesso tempo allontana ogni fase terminale, ogni punto di arrivo, inchiodando il personaggio in un limbo purgatoriale senza uscita demergenza. Piccolo Piccoli, ma così piccolo è anche il misterioso viandante tra le dune bluastre di un deserto in negativo, illuminato a notte da una supergigante sullorlo dellimplosione: unico superstite tra le ostili rovine di un mondo post-apocalittico che ha perduto di senso e significato. A metà dello scorso aprile, in concomitanza con la sua uscita, Da Qui I Grattacieli Erano Meravigliosi poteva inconsapevolmente proporsi come sonorizzazione in tempo reale dello sfacelo pandemico delle metropoli svuotate dal di dentro, dei vulnus di un modello socioeconomico completamente fuori controllo, del pericoloso senso dillusoria onnipotenza che ha soggiogato lagire umano tra un monumento aere perennius e laltro. Non cè stato il cambio di passo che utopicamente ci si augurava e che, forse, avrebbe potuto allontanare il momento in cui, rivolti gli occhi al cielo, si sarebbero contemplate solo carcasse dacciaio contro un orizzonte rosso fuoco: il che rende il messaggio ultimo del disco ancora più pertinente, ancora più fosco e realista.
Avvertenza ai naviganti: lascolto del quarto full length della one-man-band Cabeki, la più recente incarnazione del polistrumentista veronese Andrea Faccioli (Lecrevisse, Å, Einfalt ), merita tutta lattenzione cui gran parte del neo cantautorato italiano con cui peraltro Faccioli si è interfacciato negli anni trascorsi ha da tempo scientemente deciso di rinunciare. E non perché si tratti, di per sé, di una proposta complessa: anzi, rispetto al capitolo precedente, lambizioso e paraorchestrale Non Ce La Farai, Sono Feroci Come Bestie Selvagge (2016), da cui comunque eredita il minutaggio essenziale, Da Qui I Grattacieli Erano Meravigliosi brilla di un lineare minimalismo strumentale (Faccioli suona tutto da solo: unacustica registrata su quattro canali, un synth Animoog manovrato coi piedi per disegnare le melodie portanti, una drum machine a pedale Sound Master del 1982). A colpire è, semmai, la concettualità delloperazione: una distopia in otto episodi che ad ogni shift narrativo abbina un disegno stilistico differente, con leclettismo di una finta colonna sonora per un orrorifico noir crepuscolare fin troppo conosciuto (e quindi mai girato). La complessione mediterranea che ingentilisce le chiazze seleniche del post rock sintetico di Oscurati Dalle Nuvole (esplicita la citazione floydiana) scivola, in un possente tramestio di trilli, nel meditativo arpeggiato di Da Qui, un Ben Chasny votato al candore espressivo: ugualmente, il valzer gotico da library primo settantiana di Alberi Nel Deserto spiana la strada allacetato folk-blues di Steli Di Cristallo, dimpostazione moderatamente faheyiana. Su di tutto spira una persistente brezza di morte, un alito decadente che sembra increspare la superficie delle cose e corromperne lessenza (Al Futuro è uno stornello popolaresco à la Egisto Macchi deformato da filtri industriali e rintronanti giochi di specchi), rivestendo di una patina inquietante anche lapparentemente sognante chill out motorik di Fra Cielo E Terra (gli Aktuala rivisitati da L.U.C.A.) e trascinandosi sino alla sentita, pencolante sonata sommacaliana di chiusura (Una Fragile Memoria).
Detta in breve, il Cabeki del 2020 suona come lesecutore di un testamento per i posteri che non vi saranno: il demiurgo di un altro-cosmo in cui preconizzare levoluzione del nostro mondo. Un luogo in cui affilato rimi a sinistra con ispirato e a destra con disperato. Disco duro, ma necessario.
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