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R Recensione

7/10

Bruno Dorella

Concerto Per Chitarra Solitaria

In venticinque e passa anni di onorata carriera, nel nutrito curriculum di Bruno Dorella mancava ancora un disco solista – che, non per puntiglio semantico, è cosa ben diversa dal dire “disco da solo” (format che, anzi, dagli OvO al più recente alter ego Jack Cannon, ha lungamente corteggiato e in taluni casi realizzato). È forse un felice caso del destino che l’eccezione, a ben vedere nient’altro che il prodotto finale di un lungo percorso di (auto)esplorazione, venga a cadere dietro spinta finale e quasi maieutica di una commissione esterna, quella del Ravenna Festival, che, l’estate scorsa, nell’ambito della manifestazione 100 chitarre, chiese a Dorella di scrivere di proprio pugno una composizione da riprodurre in una performance esclusiva. I quattro atti per Fender Telecaster raccolti nella microsinfonia di “Concerto Per Chitarra Solitaria” (con sottotitolo in tema: “dove un viaggio in acque placide diventa naufragio”) ne danno oggi testimonianza anche per coloro che allora non poterono essere presenti.

La lunga gavetta nelle più impensabili ramificazioni dell’allora underground italiano, nonché una spiccata predisposizione alla diversificazione dei propri progetti nel corso degli anni, hanno permesso a Dorella di diventare il prototipo del musicista completo: non solo per lungimirante visione della materia (quando la locuzione “a trecentosessanta gradi” non è usata a caso…), ma anche per duttilità d’approccio e, come diretta conseguenza, per raffinatezza tecnica. Direttamente ispirato dalla mediazione che il post rock più cerebrale e introspettivo degli anni ’90 (Tortoise, Gastr del Sol su tutti) fecero del minimalismo d’autore (Steve Reich e Rhys Chatham non sono solo i soliti fantasmi evocati alla bisogna, ma delle presenze ben più tangibili), “Concerto Per Chitarra Solitaria” è una pièce che riesce a bilanciare ottimamente atmosfera, emozionalità e virtuosismo. In “Largo”, una scheletrica e deliziosa frase blues si apre lentamente spazio fra armonici, sospensioni ambientali e interferenze concrète, oscillando poi tra ripiegamenti distonici, twang vivaldiani e plumbei picking. “Allegro Con Crepe” decompone e ricompone in stringhe non consequenziali le armonie decadenti degli ultimi Ronin, inserendovi nel mezzo un inaspettato break funk. “Adagio Del Naufragio”, dopo una lunga fase di rumorismo, propone un’eburnea melodia chopiniana accelerata in un finale slabbrato. “A Fondo”, impostata come un complesso studio frippiano su toni e accostamenti cromatici, si dissolve infine in un lungo drone manipolato.

Disco di alt(r)o livello, concettualmente prima ancora che esteticamente. Potrà piacere oppure no, ma la sua singolarità, che rimanda ad avanguardie di decenni lontani, è insindacabile. Prima delle tre uscite previste, nel corso di questo 2019, nella galassia artistica dorelliana (in arrivo a fine mese l’esordio dei Tiresia, “Estatico”, prima del nuovo LP dei “nuovi” Ronin previsto per il prossimo settembre).

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