Paolo Spaccamonti
Buone Notizie
Le buone notizie, si sa, non vengono mai da sole. Neanche le cattive, per la verità, ma oggi parliamo di Buone Notizie.
La prima buona notizia è che – alla fine – io e Paolo Spaccamonti siamo diventati amici. Amici 2.0, sia chiaro, on-line anche se abitiamo a tre isolati di distanza, ma l’amicizia è una buona notizia comunque, sebbene ai più possa non importare.
La seconda buona notizia, più interessante, è che Paolo Spaccamonti è pienamente consapevole delle proprie possibilità. Ci crede e fa bene, investe sulla sua musica, si muove nel sottobosco, sonorizza film muti e reading letterari, collabora con altri artisti, suona ovunque. È una buona notizia vera, questa, nel paese del “vola basso” e del “chi ti credi di essere”. Come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi, nel voler fare il mestiere del musicista o dello scrittore. Invece Spaccamonti (che di professione fa altro) è uno di quelli che meriterebbe di vivere suonando, e la buona notizia sarebbe non costringerlo ad emigrare, come già accaduto ad alcuni suoi illustri predecessori.
La terza buona notizia è che “Buone Notizie” è di nuovo un disco di sobria ma profonda bellezza, in grado di ricostruire un microcosmo elettroacustico che si insinua sottopelle in modo lento, delicato e piacevole. L’evoluzione musicale di Spaccamonti passa attraverso un rinnovato equilibrio tra le urgenze “solistiche” della sua chitarra e l’apparato strumentale che la circonda esaltandone accenti e silenzi, progressioni e divagazioni.
Sebbene il solco sia lo stesso tracciato dall'esordio “Undici Pezzi Facili”, il secondo album del guitar-hero torinese riesce a smarcarsi dalla matrice post-rock concedendo al consueto immobilismo di questi paesaggi strumentali numerose alternative ritmiche, come quella prodotta dalla batteria di Davide Compagnoni (Stearica) a supporto dei cerchi concentrici tracciati dalle chitarre in “Guitar Heroin” e da quella di Dario Bruna che “spazzola” sotto le note stoppate di “Claude” e crea spazi per i riverberi della tromba dell'amico Ramon Moro in “Ossamiche”. In altre occasioni è proprio lo spessore degli ospiti coinvolti – aggiunto alla capacità di Spaccamonti di fare “sua” ogni nota – a creare il diversivo necessario a rendere “Buone Notizie” un disco teso e pieno fino all'ultimo minuto: la viola elettrica di Fabrizio Modenese Palumbo (Larsen) riesce in meno di tre minuti a riempire di chiaroscuri i tratti essenziali disegnati da Spaccamonti (“Deh”), così come il violoncello di una come Julia Kent (Antony & The Johnsons) non potrebbe non appropriarsi dei silenzi suggeriti dagli intrecci chitarristici del padrone di casa (“Amici Vecchi”). Che è padrone di casa vero, oltre che autore sopraffino, proprio perché dimostra di saper concedere senza subire, di saper coinvolgere gli ospiti tenendo sempre a fuoco l'obiettivo (perfetta in questo senso la combinazione elettroacustica creata con i beats di Ezra in “Tartarughe”), di potersi autocitare (“Tex 2”) e di poter contare sulle proprie qualità per arrivare lontano. Noi gli auguriamo di arrivare lontanissimo, a patto che non smetta mai di farci avere sue “buone notizie”.
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