7C
Compartment C
Il mio primo contatto con i lancianesi 7C avvenne nel 2013. Figuravano anche loro, tra i protagonisti di quella cornucopia traboccante di meraviglie che era la storica, doppia compilation Fonderie Jazzcore: il loro biglietto da visita era una potente The Bag che gettava più di uno sguardo nel backyard del free jazz newyorchese dellultimo ventennio, tutto muscoli ed esplosività. Rispetto a quella formazione, gli autori di Compartment C strutturato, non casualmente, come un concept sulle nevrosi delluomo moderno e sulla sua strenua lotta con la macchina sembrano un gruppo del tutto nuovo, tanto che i primi approcci appaiono inevitabilmente disorientanti. Merito dello spauracchio di ogni ensemble jazz contemporaneo che si rispetti, la chitarra elettrica, esorcizzata sulla porta ma fatta astutamente rientrare dalla finestra: quella di Tony Berardinucci, lungi dal monologare ininterrottamente, è piuttosto una sega circolare che, alla maniera dei Luther Blissett, sprizza rumorismi e distonie da tutti i pori.
Lantifona è chiarissima già a partire da Approaching A City: sullostinato di basso di Giuseppe Iubatti viene iterata ununica, contorta frase industrial, una sciabolata battlesiana alla maniera degli Einstürzende Neubauten che, nel prosieguo, si disfa in un solismo tutto spine ed angoli. Il bombardamento chimico travolge anche le sovrastrutture post-core di Eleven A.M. che, solleticate da beat sintetici, vengono risucchiate in uno spaventoso vortice noise (il primo e il più calzante termine di paragone è quello con i disciolti Staer), solo parzialmente mitigato da una digressione quasi cinematica per corde sospese un accostamento che torna buono per le coltellate chitarristiche inferte meccanicamente sul torso di Yonkers, tra le cui fibre appaiono e scompaiono dissestanti fate morgane carpenteriane. Assolutamente raggelante la conclusione: se la criogenizzata techno analogica di Depression, spalleggiata da poliritmici riff meshugghiani, si contrappone alle tentazioni metalliche di Eye & Ear Control (inaugurata e congedata da isolati segmenti di free jazz braxtoniano), a colpire a fondo è la trasognata, quasi contemplativa linea di basso di The End Of The Day, che la chitarra di Berardinucci prima inquina di feedback e poi raddoppia con inaspettata epica heavy.
Disco difficile e spesso metaforico, ma di un simbolismo intelligente, anti masturbatorio: mai come in questo caso vale la pena avvicinarvisi e provarlo. Compartment C si pone tranquillamente al livello delle più blasonate produzioni internazionali.
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