Barachetti / Ruggeri
White Out
Un disco lento, un disco materico, un disco difficile. White Out, creatura del duo formato da Luca Barachetti (ex Bancale) ed Enrico Ruggeri (ex Hogwash), è un esperimento in bilico tra gli ermetismi della poesia contemporanea e le evoluzioni della musica (post)seriale. Fondamentalmente elettronico, questo lavoro è, nei fatti, un costrutto eterogeneo che, partendo dalle ripetizioni percussive di Franco Donatoni, retrocede fino alle allucinazioni minimaliste di LaMonte Young. White Out, lento materico difficile, propone un percorso auditivo che combina con puntiglio ogni parola scelta con cura filologica alla sua corretta frequenza, generata con metodo scientifico. Dove batte la lingua del Barachetti, lì cè Ruggeri a modular le onde senza disincanto alcuno, bensì col tocco professionale e austero dun genetista in laboratorio.
Ma perché White Out è lento? È lento perché, tranne rarissime eccezioni, fa volentieri a meno del ritmo, per come lo intende la maggioranza delle persone. E perché White Out è materico? È materico perché la voce si fa phonè, ovvero diventa qualcosa di estraneo dal corpo che la emette, si rende autonoma, diventa oggetto vibrante nelletere. Ma insomma, perché White Out è difficile? È difficile perché richiede, da parte dellascoltatore, un reale impegno: alle sue capacità intellettive sta la concreta possibilità di capire, di giungere ad aletheia, di svelare letteralmente la verità. Si potrebbe quasi affermare che il duo produttore abbia sopravvalutato il fruitore, per fiducia, per obbligo, per aristocrazia. Fatto sta che la totale assenza di periodicità nel tempo (Iannis Xenakis) eleva a potenza il trauma poetico di Dolore bianco, lossessivo ripetersi del mantra Pulsa fa tornare alla mente i requiem di Sylvano Bussotti e le frattaglie pianistiche cadenzate da improbabili martelli elettrici ricordano Alvin Curran, almeno finché non vanno a morire nellatto penitenziale dell(in)comunicato.
Con Macula approdiamo invece alle nere foreste vergini di Krzysztof Penderecki, con alberi vinilici e graffi seriali blu metilene; in San Sebastiano i due artisti bergamaschi sembrano voler sezionare la cultura popolare, il folclore (Luciano Berio), per giungere alle teorie di Mach sullinterferenza e la diffrazione; le scelte davanguardia dei due paiono trovare un poco di quiete con Panda psichico per poi fuoriuscire come GPL in Uomo occipitale, una traccia giocata sugli incastri glitch degli Autechre. Pur se scheletrico e asettico, il disco regala comunque sensazioni umane, come nella title-track, quando una cassa veloce si trasforma ben presto in un doping acustico, del tipo iDoser che, giocando con doppler et similia, simula esperienze binaurali. Ancor più antropomorfo è il lungo finale di Fiume verticale.
A mio avviso è questo il brano che, più degli altri, fa luce sulle radici ideologiche dellintero LP di Barachetti e Ruggeri, e forse ne spiega pure lurgenza. Fottendo ogni accademia e superando in un sol colpo Orwell, Brecht, Asimov e Pasolini, un poeta e un musicista, entrambi sperimentatori, ci stanno dicendo che siamo diventati tutti dei pesci dacqua dolce: obbligati a seguire la corrente e, soprattutto, incapaci di vivere al di fuori del fiume. Se solo quel fiume fosse verticale, vi sarebbe almeno la speranza duna trascendenza. E invece, nemmeno quella.
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