Animal Collective
Centipede Hz
Gennaio 2009. Gli Animal Collective, via Domino, rilasciano Merriweather Post Pavilion", che piomba come un monolite nellimmaginario indie globale, travolgendolo e deviandone alcuni dei suoi flussi estetici.
Labbandono (transitorio, col senno di poi) di Josh Deakin Dibb porta il collettivo a ridisegnare i piani per la stesura del seguito di Strawberry Jam (2007). Con distanze geografiche sempre più ampie, subentrano, in serie, difficoltà organizzative, così come nuovi compromessi (le rispettive carriere soliste di Panda Bear, Avey Tare, Geologist) sul come e dove comporre il nuovo materiale (Noah Lennox risiedeva, e risiede ancora con famiglia, a Lisbona). Unidea di suono diversamente spettacolarizzante a ribollire nelle loro teste, consapevoli che un maniera minimale di comporre e strutturare (a sforare limiti ambient: Tangerine Dream, il catalogo Kompact sempre citato, Selected Ambient Works di Aphex Twin) non avrebbe dovuto compromettere il loro temperamento, di base, freak ed estroso.
La forma pop (toccata a più riprese in passato; mai impossessata pienamente) quale misura di tutte le cose, con cui confrontarsi in maniera definitiva: concetto portato avanti dal lavoro in studio con Ben Allen, attraverso un labor meticoloso, e ossessivo sui sampler (gli effetti collaterali, per molti spettatori, disastrosi nei live). A favore di una resa pienamente elettronica (la strumentazione classica, fino ad allora, nelle mani salde di Daekin), settata dal dietro le quinte su altezze a scalare, e ibridata con istinti dance (MGMT, ad accompagnare e a riprendere estetiche comuni); da qui le ritmiche, tribalismo schizofrenico assieme arcaico e metropolitano, reiteravano incessantemente su scenari melodici lenti nello svelarsi: agghiaccianti per purezza psichedelica (e finanche totalmente easy listening; Bluish, o My Girl, la cosa più vicina ad una hit partorita dai tre di Baltimora), perché liquide, preda di fascinazioni lisergiche (si parla, per lappunto, di avant pop). Dissociazione corporea per chi ascolta, quando gli apici estatici vengono raggiunti (If I could just leave my body for the night, da In the Flower), e allucinano, nel momento in cui sai di esserne totalmente dipendente. Disco fondamentale, per molti, del decennio zero: Merriweather Post Pavilion si trascinerà vendite di rilievo (13° posto come vetta nei Bilboard, per esemplificare) e consenso pressoché unanime di critica (il 9.6 pitchforkiano a proiettarne negli spazi infiniti lhype).
Disco che volgeva al termine con Brothersport, brano che più si affranca dalla gestalt estetica del lavoro per dinamicità e iperattivismo, e complessità di arrangiamento. È anche da qui che gli Animal Collective riprendono il discorso: in Centipede Hz si accelera sui tempi, le ritmiche si riportano su standard serrati e tellurici (Moonjock), i flussi melodici infaticabili (Wide Eyed) o distorti in brodaglie impastate e sintetiche (Mercury Man) e dalla prestanza electro pop stravagante. Il passo attuale e naturale (virgolettato, ché di naturale gli Animal Collective ne avranno sempre ben poco): compattare nello stessa creatura deforme trame psichedeliche scoppiettanti (Flaming Lips), ossessioni kraut, sbrodolature weird/freak e liquefatte, e graffi vocali (accostiamo Grass a Todays Supernatural, ad esempio). Il reintegro di Deakin, come si noterà, ha riaperto molte finestre sul passato filtrate con molto del nuovo, ovviamente. Si pensi a Rosie Oh: rimbalza, folle, tra frequenze disturbate e contatti extraterrestri, avvinghiata comè da una girandola di elettronica psicotica, a scontrarsi con un dub dalla resa hi-fi e chitarra farsesca.
Com'è solito, gli Animal partoriscono un sound senza origini, esoterico in senso bizzarro, drogato di psichedelia indemoniata. Applesauce, meraviglia, è danza tropicale di altri mondi; il piglio orientale-tribale di Amanita (altro apice) è qualcosa che gli Yeasayer (il lato emotivo di questi suoni) avrebbero pagato danaro sonante per includere in Fragrant World. La copertina (inguardabile) è bocca che ingurgita e sottomette (in funzione pop) gli stati freak troppo esposti del passato (lo slancio senza freno di Todays Supernatural), lasciandoli ad ogni modo trasparire, detersi da una produzione astuta - sempre Ben Allen, che sottrae il non necessario in senso noise; si inseriscono, piuttosto, certe intermittenze radio (a prestito dal fratello-dj di Avey Tare).
Si esce sfiniti dallascolto: carne al fuoco anche troppa, pesante da buttar giù in blocco la colpa alla tripletta centrale? Father Time, New Town Bornout, Monkeys Riches. Difficile, quindi, mantenersi lucidi, sempre, nel flusso del disco (come accadeva, analogamente, nella produzione pre Merriweather) in cui solo una Pulleys (drogata e fangosa: fuga dissociativa, anch'essa, per ricerche extra sensoriali) riesce a dare tregua. E risiede anche in questo lo scarto qualitativo tra Centipede Hz e il suo predecessore: tra quellamalgama di ripetizione ipnotica in volo verso l'etere, il grado di compattezza che qui non si riscontra.
Ad ogni modo: mai fermi, mai paghi e uguali a loro stessi, sempre affamati, iperproduttivi (da Merriweather Post Pavilion ad oggi, tra gli altri: un dvd visuale, ODDSAC, lEp Fall Be Kind e la splendida "What Would I Want? Sky", Tranverse Temporal Gyrus su commissione del Guggenheim) e di una bizzarria contagiosa, gli Animal Collective.
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