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R Recensione

7/10

Ginevra di Marco

Canti, richiami d’amore

Il sesto lavoro solista di Ginevra Di Marco è un disco nato quasi su commissione. Nel 2010 il Comune di Firenze le chiede organizzare un concerto di natale da tenersi nel cenacolo della basilica di Santa Croce. Da qui nasce la scelta di un repertorio adatto al tema e al luogo (l’uomo e la sua passione, la ricerca dello spirito, il limite, la caduta, la rinascita possibile, come spiega Ginevra nelle note di copertina), e di conseguenza una musica adatta, scarna, senza inutili orpelli, solo la sua voce accompagnata da due strumenti.

I brani di quel concerto unico, che ha così profondamente emozionato il pubblico e gli stessi musicisti, vengono ora pubblicati in cd, rieseguiti in studio (con Francesco Magnelli alle tastiere e Andrea Salvadori alle chitarre), mantenendo la stessa atmosfera delicata, acustica, riflessiva, certo meno arrabbiata e combattiva del repertorio precedente.

Un disco così non poteva che essere aperto da Montesole una delle composizioni più delicate e intense del repertorio dei P.G.R., un vero inno all’amore (L'amore non lo canto, È un canto di per se, Più lo s'invoca meno ce n'è) ottimo biglietto da visita per aprire questo cd.  Ma è col secondo brano che si entra nel vivo di questo lavoro. Tratto dal repertorio di Giuni Russo, La sposa, (ispirato al Cantico dei Cantici) è costruito sul suono dello tzouras (uno strumento greco a 3 corde doppie, della famiglia del bouzuoki, dal suono mediterraneo) e su questo suono si staglia la splendida voce di Ginevra.

Le stesse splendide sonorità mediterranee le ritroviamo in un brano del repertorio dei C.S.I. Brace, (da cui a quanto pare è difficile staccarsi, visto che tutt’oggi è portato in concerto da Zamboni da un lato, e Ferretti dall’altro). Ancora lo tzouras che colora di mediterraneo, con le tastiere di Magnelli che sembrano voler imitare una fisarmonica.

C’è anche il mediterraneo di Sidun, quello raccontato da De André e Pagani in Creuza de ma’, e quello di Nuena nuena (di Enzo Avitabile) dove ad una Ginevra perfettamente calata nel dialetto napoletano fa da contraltare la musica meno mediterranea di tutto il lavoro.

Ma la sorpresa con Ginevra Di Marco, come sempre, arriva dal brano più inaspettato, proveniente da culture lontane. In questo caso la cultura yiddish di Tumbalalaika, splendido brano tradizionale russo, in cui si immerge per raccontarci lo struggimento di un amore non rivelato.

Colpiscono nel segno anche L'ombra della luce (di Franco Battiato), intensa profonda, lirica, solo voce e tastiere nell’intro, e l’accompagnamento del piano e poche note di chitarra nello svolgersi, ed il tradizionale toscano Storia del 107, con il suo arrangiamento scarno, in cui il piano si alterna alla batteria toccata con le spazzole, per un racconto toccante sulla spersonalizzazione delle istituzioni totali, dove l’uomo diventa un numero.

Chiude Cinquecento catenelle d'oro, classico della tradizione popolare toscana, riscoperto da Caterina Bueno, (e citato, tra gli altri, da De Gregori in Caterina e da Vecchioni in Reginella). Splendido l’arrangiamento delle tastiere che rende il brano contemporaneo nei suoni senza però snaturarlo. Cinquecento catenelle d’oro, che hanno legato il tuo cuore al mio, e hanno fatto un nodo tanto forte, che non si scioglierà fino alla morte: non poteva che stare in chiusura di disco.

Ancora una volta colpisce di Ginevra Di Marco la capacità di entrare nelle canzoni, di farle proprie, di ridare un’anima a questi brani spesso dimenticati, o solo ricoperti dalla polvere del tempo, passando attraverso i generi, i secoli, i popoli, le culture, le lingue, infine facendoli rivivere.

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