Turnstile
Time & Space
Per quanto continui ad ascoltarne con una certa regolarità, i meccanismi di funzionamento dellhardcore contemporaneo o, per meglio dire, della ricezione critica dellhardcore contemporaneo non mi sono ancora del tutto chiari. I Turnstile di Brendan Yates, in questo loro secondo Time & Space, sono pervasi dalla febbricitante ambizione giovanile di riprodurre tutto il conoscibile nel formato a loro più congeniale, quello del brano ipercompresso e sparato in the face. Ecco che, ad esempio, tra le affilatissime chitarre garage di High Pressure martella un indiavolato piano rockabilly: il d-beat insistito di Big Smile rivela in controluce unanima swing; dalle sovrastrutture quasi shoegaze delleffettato riff dapertura di Cant Get Away salta addirittura fuori un robusto midtempo à la Madball, qui e lì puntellato da iberismi scorticanti (i furono Hellacopters e Muletrain sono in allerta). E così via, saltando di palo in frasca, da una suggestione allaltra, senza avere il tempo materiale per metabolizzare questenorme mole di input: funziona così, prendere o lasciare.
A dire il vero, la tentazione di lasciare dopo lennesimo ascolto in cui tutto ciò che si fissa è un insieme disorganico ed approssimativo di frammenti, fiammate, intuizioni sparse è forte. Viene in mente la versione popolare del Lemma di Borel-Cantelli: date ad una scimmia una tastiera del computer e, in un tempo infinitamente lungo, riuscirà a comporre tutti i sonetti shakespeariani. Per Time & Space, purtroppo, non cè data la prova incontrovertibile delleternità. Anzi: tutto devessere digerito, liofilizzato al massimo grado. Senza fare paleocronologia e pretendere di anteporre luovo alla gallina, peraltro, già i Refused di The Shape Of Punk To Come e i Nations Of Ulysses di Plays Pretty For Baby (dischi, rispettivamente, di venti e ventisei anni fa) avevano trasformato la loro rumorosa dialettica in una travolgente enciclopedia del crossover a cavallo tra i millenni: qui il tentativo è didascalico e superficiale, una sorta di vorrei-ma-non-posso che svuota di senso gli intermezzi (la bossa digitale di Bomb, la lounge di Disco), disperde oltre misura le idee vincenti (i flanger alienanti della seconda metà di Generator, la maleducazione strillata a pieni polmoni di Right To Be, lhardcoremericana un po tamarra di Come Back For More banalizzata dai breakdown metalcore di H.O.Y.) e confeziona pure momenti di autentico kitsch (come nellimpostazione crooneristica del pop punk di Moon). Di brani buoni, intendiamoci, non ne mancano, specialmente quando le pretese post-moderne vengono tenute a bada e si abbassa la paletta dellacceleratore i nuvoloni slayeriani che si addensano in (Lost Another) Piece Of My World, il mosh conclusivo di Time + Space ingentilito da coretti di supporto , ma limpressione è sempre di assistere ad una performance pirotecnica cui qualcuno, o qualcosa, abbia sottratto almeno metà della sua potenza effettiva.
Poi, per carità, parliamo comunque dei Turnstile, mica dei Big Ups. E ci sarebbe mancato altro.
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