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R Recensione

8/10

Piccola Bottega Baltazar

Il Disco Dei Miracoli

Lavorare con lentezza. Non nel senso etimologico di indolenza creativa, ma a piccoli passi, rusticamente, come facevano i nostri nonni, quando ancora il mondo andava con i suoi ritmi biologici, non forzandosi alla nostra frenesia di avere tutto e subito. Insomma, quando non esistevano il sintetizzatore, il theremin, le chincaglierie elettroniche più disparate ed affascinanti e, forse, nemmeno gli strumenti elettrici. Canzoni pensate con la testa, suonate con il cuore, a briglia sciolta. E, se non è davvero un “disco dei miracoli”, poco ci manca.

Ok, ora resettate tutto e ripartiamo, dall’inizio.  

Padova è la città da dove l’avventura della Piccola Bottega Baltazar ha inizio, agli albori del Nuovo Millennio. Che l’esordio discografico non sia in realtà un album proprio, bensì un disco-tributo a Fabrizio De Andrè (“Poco Tempo, Troppa Fame”, 2002: da riscoprire a tutti i costi) la dice già lunga sul percorso intrapreso. Se poi aggiungiamo, a piè pagina, che la formazione consta di un cantante/chitarrista, un batterista, un contrabbassista ed un fisarmonicista, i giochi sono compiuti per metà. La dimensione dei quattro è quella della vecchie sagre paesane, delle danze immerse nelle torride estati campagnole, della canzone d’autore più descrittiva e “popolare”, se mi concedete il termine: piccoli quadretti multicolore, che si tuffano in una quotidianità d’altri tempi e riemergono, ebbri di semplicità e memoria visiva.  

In questo, “Il Disco Dei Miracoli”, terzo loro lavoro uscito nel 2007, non fa particolari eccezioni. Il concept a monte di queste tredici nuove canzoni è interessante, e pare sia stato imperniato su “I Miracoli Della Val Morel” di Dino Buzzati, interessante e mastodontico esperimento pittorico/librario fondato sul ritrovamento di alcuni ex voto nei pressi di un santuario di Santa Rita da Cascia, vicino a Belluno. Sonorità solide, romantiche, artigianali, che profumano di scuola genovese e folk spagnolo, tango e qualche digressione più rock, in un continuo tramestio ed aggancio di melodie e doppi passi: basta anche solo sentire l’opener, “La Bella Listilina”, romantico telero quasi balcanico, dove la fisarmonica travasa importanti rifiniture mitteleuropee, o “La Contessina Bacigalupo (Inseguita Dallo Stesso)”, splendido tratteggio cantautorale dalle improvvise profondità chiaroscurali.

I personaggi che popolano le canzoni della Piccola Bottega Baltazar sono raccontati sempre con una sensibilità testuale non indifferente, mediante una sequela di artifici che li rendono vividi e coloratissimi (“Tuo padre parlava della vita / come se per lui fosse già finita / troncava i discorsi dolcemente / con una lieve ironia seducente”, cantano nella jazzata e zampettante “Le Formiche Mentali”). Uomini, donne, bambini come tanti, che assumono grande rilievo con azioni ugualmente comuni: eccezionale, a questo proposito, il crescendo strumentale de “Il Labirinto Del Desiderio”, con chiusura in mandolino, dove “c’è poi chi scende da un treno / chi guarda dal finestrino / chi aspetta sulla banchina”. Ritmi, suoni, tinte, idiomi di tutti i tipi, anche oltre la sfera glottologica, che avvolgono le pulsazioni bohemiénne per fisarmonica di “Stregato Da Un Sorriso”, storia della rottura di un rapporto interpersonale, o gli agili francesismi, con aperture à la Capossela, di “Il Solitario Mistero Delle Profondità”.

Più in generale, il giudizio che si trae, ascolto dopo ascolto, dal materiale quivi proposto, è quello di avere di fronte una grande competenza lessicale e strumentale, che riesce a far prevalere il suo spirito di equilibrio e raffinatezza senza, per questo, incappare in fastidiosi arroccamenti intellettualistici di difficile sopportazione. In altri termini, è musica che riesce ad essere completa e ricercata, pur non dandolo a vedere in maniera troppo esplicita, capace anche di un citazionismo garbato e notevole, come quello pinkfloydiano in coda alla surreale “Rapita Da Un Pettirosso”, brano migliore dell’album. Avete ancora qualche dubbio? Niente paura, le strumentali assolveranno per voi. Prima arriva “Il Colombre” (chissà da dove è spuntato fuori?), incalzante incedere per chitarra acustica e pianoforte, con la prima che scava ed il secondo che avvalla gli spazi lasciati dalla compagna: poi “Gli Amanti Di Val Morel”, schiacciata di archi e fisarmonica tra Astor Piazzolla e chansonnier nostalgici.

La Piccola Bottega è ancora fra noi. Ma, in fondo, è come se non se ne fosse mai andata.

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