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R Recensione

7/10

Mythic Sunship

Another Shape Of Psychedelic Music

C’è voluto qualche anno ed una serie di prove in itinere al meglio discrete, ma al secondo tentativo del 2018 i danesi Mythic Sunship riescono finalmente nell’impresa di scrivere la loro personalissima enciclopedia hard-psych, uno scrigno delle meraviglie che contenga le più ardite esplorazioni finora mai tentate dal gruppo. Le tentazioni di ecumenismo sono evidentissime sin da titolo e copertina (omaggio ad Ornette?): porre le basi definitive, attraverso il formato jam, per il conio di un nuovo e policromo linguaggio, un luogo della mente in cui far convivere distorsioni valvolari, divagazioni psichedeliche ed astrali suggestioni free jazz, inglobando il melodismo nell’improvvisazione, l’assalto sonico nella regolarità ritmica.

La novità più rilevante delle torrenziali cavalcate di “Another Shape Of Psychedelic Music” è l’inserto sistematico del sax di Søren Skov, un innesto la cui imponenza e pervasività si fa sentire già dai fraseggi meditativi che preludono al decollo dell’iniziale “Resolution” (un po’ Coltrane mistico, un po’ Sun Ra). È un acquisto intelligente, che esplicita la matrice jazzistica dell’approccio strumentale dei Mythic Sunship: una musica che accosta polvere di stelle a lava rovente, insight cosmici ad affondi cumulativi (gli ultimi tre minuti della summenzionata “Resolution” sono un vortice di fuoco che riesuma i Causa Sui delle “Summer Sessions”). Nulla o quasi di fuori posto nei primi quattro brani, con una “Last Exit” (gli ultimi, straripanti Motorpsycho approcciati dal free scandinavo) sugli scudi e l’acid blues post-diddleyano di “Way Ahead” subito dietro, a montare in un frastornante fragore noise. A spaccare il capello in quattro, v’è appena qualche riserva aggiuntiva nell’ultimo quarto, dove le tre chitarre di Emil Thorenfeldt, Kasper Stougaard Andersen e dell’ospite Jonas Munk (Causa Sui) si intrecciano attorno al detonante sax møsteriano di Skov in una “Out There” che sembra avanzata a “Land Between Rivers”: migliore, anche sotto il mero profilo armonico, il jazz elettrico doomish di “Elevation”.

Chi ancora non conosce il quartetto, ma non volesse lasciare inascoltati gli entusiasmi, si getti a capofitto in quest’avventura: non vi troverà alcunché di nuovo, ma che viaggio!

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