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R Recensione

6/10

A Dog To A Rabbit

A Dog To A Rabbit

Sgomberiamo il campo da equivoci: il cane parla al coniglio in un modo decisamente rock. A cercare di incasellarli in qualche modo, il comunicato stampa piazza, come termini di paragone, gli onnipresenti Nirvana, i Queens Of The Stone Age e addirittura, certo per fare un po’ di sensazione, Jimi Hendrix. Se per qualcuno tutto questo citazionismo potrebbe risultare svilente, sappia invece che è il termometro ideale per misurarsi con la materia meno ibrida di sempre, ultimamente rifuggita a beneficio dei cervellotici alambicchi di cui le band di cantina sembrano nutrirsi giornalmente, o deviata verso gli evanescenti picchi del fluo-indie. Etichette, peraltro, entrambe sovrabbondanti nel mare di promo con cui l’altra Italia cerca di distinguersi dalla massa, finendo chiusa in un circolo vizioso ancora più asfissiante.

La passione con cui questi tre giovani fiorentini danno vita alle loro semplici fotografie è, invece,  qualcosa che fatico sempre più a sentire nella generale accondiscendenza manieristica dell’r’n’r moderno. Capacità di scrittura e fluidità di composizione donano agli undici brani di “A Dog To A Rabbit” sfumature sicuramente prevedibili (si distacca, da questo, il funk irregolare di “4 Rules”), ma non per questo meno avvincenti. “Rock Abuse” ha il perfetto attacco di chi ha ascoltato sin troppe volte il riff impareggiabile di “Little Sister” – Nuovo Millennio, nuovi modelli – con l’ulteriore vantaggio, però, di giocare la sfrontatezza garage su graffi grunge e stacchi melodici. La chitarra stoner di “Flavor”, avvolta da affluenti quasi brit, inizia già ad alzare il tiro, poi corretto nel cesellato pop psichedelico della title-track e messo a ciondoloni da “Liar”, patinato mid-tempo blues non indispensabile, ma utile per dare respiro ad un disco altrimenti troppo ficcante.

Vedo già, a ragion veduta, la rigorosa fila di intransigenti, fuori dalla porta, pronti a cannoneggiare ogni minimo impulso proveniente dal disco, cominciando magari dalle movenze, in effetti leccate, del potenziale singolo “I Can’t Stay Out Of” e dimenticandosi, se tanto ci dà tanto, di una “Chemical” che potrebbe appartenere ai Pixies più melodici a contatto coi Fugazi più quadrati. Bene insistere con la circoscrizione del territorio: volete della sana concretezza, come di sincera non se ne sente più? Eccovi i tre quarti d’ora che cercavate.

Aspettiamo fiduciosi, in ogni caso, importanti maturazioni in vista del passo successivo.

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