Il Pan Del Diavolo
Piombo, Polvere e Carbone
Ricreare pedissequamente atmosfere e scosse di un passato (prossimo) di successo o stravolgere la propria formula in favore di un’evoluzione personale e artistica? Delle due, nessuna. Tra infiammare il pubblico e sorprendere la critica, il duo siciliano sceglie di seguire la propria strada senza calcoli, spiazzando solo un pochino, probabilmente quel tanto che bastava per scontentare gli uni e non accontentare gli altri.
La nuova fatica de Il Pan del Diavolo, infatti, non possiede l’ardore viscerale dell’esordio “Sono all’Osso”, datato 2010, opera sanguigna, squisitamente ruvida, torrenziale e sguaiata. “Piombo, Polvere e Carbone” è invece disco più ragionato, soffocato da atmosfere più fumose e dunque meno vivide, un percorso pur interessante, ma come ovattato da una produzione più omogenea: le fratture scomposte del primo album sono state saldate e piallate in maniera quasi innaturale.
Sicuro che a un pezzo come la title track, vicina all’irruenza distorta del passato, non avrebbe giovato un canto libero di stordire, e non inscatolato e stritolato sotto nugoli di feedback? Non perfettamente a fuoco (né onestamente necessarie) le "ballads" Fermare il Tempo, avulsa dal contesto e salvata nel finale dal violino di Nicola Manzan, e Vento Fortissimo, arpeggiata ed evocativa ma terribilmente aliena, mentre Donna dell’Italia è noiosa o poco più. Anche le liriche risultano come assoggettate alla stagnazione di fondo: raccontano senza ferire, disegnano di grafite e non di inchiostro.
Eppure, sotto la spessa soffocante cortina, i brani restanti affilano gli artigli, tentando di penetrare il cuore e la testa di chi ascolta, riuscendovi spesso: l’impossibilità di restare immuni al contagio di testi e melodie testimonia il fatto che, scevre da orpelli e nel ricordo scheletrico della nostra mente canterina, le canzoni funzionano, ammaliano, rimangono. Il tex-mex di Elettrica, le grida che squarciano la cadenza cantilenante di Scimmia Urlatore, la lentezza sgarbata de La Velocità (toh, i Chingon in Italia!), le cavalcate dal basso di Libero, quelle da battaglia nella tensione ricreata da La Viliore: tutti esempi di un potenziale formidabile ma soffocato, che ritroverà, senza alcun dubbio, naturalezza e vigore nella trasposizione live.
Citazione d’obbligo, infine, per la conclusiva La Differenza Fra Essere Svegli e Dormire: accennata, tetra, lacerante di buio e angoli ciechi, rappresenta probabilmente quello che sarebbe stato se Il Pan del Diavolo avesse deciso di voltare pagina e spiazzare gli ascoltatori. Stupore vero per l’unico obnubilamento autentico dell’album. E se la direzione finale indicasse la strada per il futuro? Se è vero che “una persona normalmente composta / frigge”, Il Pan del Diavolo, con questa prova introspettiva, si è quantomeno guadagnato la nostra attesa fiduciosa per un caldo avvenire scomposto, e libero da patine d’olio stagnante.
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