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R Recensione

8/10

Lone Wolf

The Devil And I

Evidentemente la Bella Union deve riservare una particolare attenzione per il cantautorato, non ci sono altre spiegazioni. Di questi tempi è oro che cade dal cielo: prima Andrew Bird, che per la verità aveva già dato il meglio di sè con altre etichette, poi John Grant, che s'era dimostrato talmente bravo alla sua prima uscita (da solista) da portarsi a letto la regina di Danimarca, la sorella e pure la mamma, e ora Paul Marshall, in arte Lone Wolf; perché il cantautore, artista-poeta, è proprio il lupo, parafrasando Louise Bourgeois, che ulula tutto solo in simbiosi con il suo inconscio, che sa dare alle emozioni una forma e uno stile, e la cui capacità di fare arte non è solo una terapia, ma un vero e proprio atto di sopravvivenza, una garanzia di salute mentale, la certezza che non si farà del male e che non ucciderà nessuno.

Non è quindi una scoperta constatare che anche questo "The Devil And I" sia un disco particolarmente sensibile, di quelli che ti rapiscono nel cuore della notte e ti ammaliano fino all'alba: un album che mette a nudo pathos tonale e tensione batteristica (quasi sempre in crescendo "marziale") e che si mette a nudo con esercizi d'equilibrismo tra la diffusa malinconia melodica e il retrogusto amaro dei testi. E non è un caso se disvela subito una natura familiare, una voce caldissima al fil di metallo che ricorda fulmineamente il sopracitato Grant, con tastiere synth-pop di sottofondo e orchestre di paese Beirutiane per gradire ("This is War"), ma che sa anche mettere sintetizzatori da parte e arrangiare dolcissimi giri di chitarra in sovrapposizione, lente dissolvenze di tromba e apparizioni di xilofono ("We Could Use Your Blood"). Nel lavoro di Lone Wolf non mancano sezioni più ritmate, da un'immaginaria cavalcata, in sapor di western, sulle distese infinite di una stepposa Arizona, con tanto di schitarrate rock sul finire ("Keep Your Eyes On the Road") alle progressioni melodiche circolari, ancora una volta delle chitarre acustiche, e al piacere sottile di un violino in leggerissimo accompagnamento ("Buried Beneath The Tiles").

Complice una durata non proprio (e per fortuna) stiracchiata, "The Devil And I" è un album che riesce a dare anche una certa costanza e continuità alla qualità espressa, senza cadute di stile o cedimenti improvvisi. Lo dimostra la facilità con cui, proprio nella seconda parte, dà vita a due piccoli capolavori, racchiusi simmetricamente dall'apertura ("The Devil And I [Pt.1]") e dalla chiusura ("The Devil And I [Pt.2]") dei brani omonimi: questi ultimi, tra monologhi di pianoforte, battiti di grancassa e voce penetrante, palesano di colpo e con disarmante sincerità tutto il cupo romanticismo nutrito da Marshall ("The Devil and I last night were alone in my house/He laughed at my jokes, struck a match, burned the place to the ground/Never before in my life have I sifted through ashes so fine/To find that my live was all gone, now just pain was all mine."). Ma parlavamo prima di piccoli capolavori, che prima ci travolgono con un fingerpicking d'alta scuola e immagini evocative di struggente bellezza ("We are X, we are Y, but I won't pretend there's no space in my chest/ but russian winter in my veins again" da "Russian Winter") per poi cullarci, con tenero disincanto vocale e lentissimo intermezzo quasi arpeggiato delle chitarre, tra le braccia di un Neil Young poeta, scrittore, viaggiatore ("Dead River").

E dunque eccovi servito l'ennesimo grande album di un lupo solitario in un non-branco di lupi solitari, un album, questo è certo, che può mandare a dormire, per metà felice, quest'anno ormai al tramonto.

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 12 voti.
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mutter 9/10
Teo 8/10
REBBY 8/10
angelscof 8,5/10

C Commenti

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Filippo Maradei, autore, alle 0:27 del 17 dicembre 2010 ha scritto:

Peccato che sul Tubo non ci sia neanche l'ombra della bellissima "Russian Winter"... di un'intensità pazzesca, forse proprio la migliore dell'intero album...

fabfabfab alle 10:00 del 17 dicembre 2010 ha scritto:

Questo aveva fatto un bel dischetto qualche anno fa, sinceramente non sapevo fosse ancora in giro. Cercherò...

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 10:58 del 17 dicembre 2010 ha scritto:

Io l'ho appena ascoltato tutto 2 volte filate su: http://iamlonewolf.bandcamp.com/album/the-devil-and-i non sempre con attenzione, ovvio, visto che mi son dovuto destreggiare tra pc, scanner, fax, posta elettronica, telefono (una gentile fanciulla con cui stavo parlando m'ha domandato che lagna stavo ascoltando eheh) ed altre chincaglie del genere. L'accostamento con Grant ci sta (specie in qualche interpretazione vocale lo può ricordare), ma se tra i 2 m'avessero chiesto chi è l'americano e chi l'inglese avrei cannato di sicuro. La prima, superficiale, impressione è che quest'album sia insieme (in momenti diversi eh) più campagnolo e più classicheggiante rispetto a Queen of Denmark. Comunque l'ho già messo in nota, buona dritta per me e anche per mia moglie, credo. E poi con quel nome non posso esimermi, quand'era ragazzino (60/70) era il nome del mio eroe western preferito su L'intrepido (settimanale di fumetti)

eheh. PS Ma non è il suo primo disco con questo moniker? Come Paul Marshall il disco precedente (quello che è piaciuto a Fab) è del 2007, Paolo, con te, aveva parlato di un disco dell'anno scorso che non gli era piaciuto, mi sa tanto che è questo.

Filippo Maradei, autore, alle 11:21 del 17 dicembre 2010 ha scritto:

Dici bene, Reb, quando parli di album più "classicheggiante" rispetto a "Queen of Denmark", è la stessa identica impressione che mi aveva fatto al primo ascolto: il lavoro di Grant è discontinuo, nell'accezione positiva del termine, oltre che estroso e ricercato in alcuni momenti; questo invece ha delle soluzioni più prevedibili e melodiche, ma proprio per questo risulta più omogeneo e costante. Comunque, con il moniker "Lone Wolf" è il primo disco, ma di sicuro ne ha fatti altri come Paul Marshall, che però non conosco bene.

Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 17:16 del 2 gennaio 2011 ha scritto:

sublime

disco di un'intensità eccezionale. Più diretto e grintoso di John Grant. Maggiormente compatto e incisivo rispetto alle opere di Bird. Per intensità emotiva, passione e qualità lirica non posso fare a meno di accostarlo in tempi recenti all'esordio di Antony and the Johnsons. Un vero gioiello che mi duole aver scoperto solo ora, altrimenti sarebbe finito dritto in top ten

Filippo Maradei, autore, alle 17:51 del 2 gennaio 2011 ha scritto:

RE: sublime

Contento ti sia piaciuto Alessa'.

otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 15:45 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

'Sto ragazzo ha davvero talento. Sa plasmare composizioni sublimi in modo assolutente naturale e spontaneo. Ha uno stile dimesso ma vibrante, sa alternare momenti di acceso lirismo intimistico con altri di smagliante dolore epicheggiante; non scade mai nel loffio nè nell'autoreferenzialità emotiva e spesso artifiosa a cui molti, piccoli e anonimi cantautori ci hanno purtroppo abituato. Ma queste qualità, ancora, secondo me, si intravedono solo a intermittenza (in This is war, Buried beneath..., e le canzoni finali). Buon album comunque e lui, che non conoscevo, da tenere d'occhio. Tema dell'album che pare quello della guerra (anche e soprattutto interiore) in continuità con una tradizione "narrativa" cha parte dai pearls before swine. Bravo Filippo.

otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 15:48 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

p.s. classicheggiante anche la copertina (anzi, neoclassica), tratta non a caso dal dipinto di David "Il giuramento degli Orazi"

Filippo Maradei, autore, alle 19:38 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

RE:

Grazie a te per avermi fatto scoprire finalmente il nome dietro al bellissimo dipinto di copertina: c'ero andato in fissa per la recensione e non ho dormito più notti proprio perché non lo trovavo. Il tema anche a me è sembrato quello del conflitto interiore ma non solo: che ci sia una donna di mezzo? Concept a parte, belle, bellissime, alcune immagini descrittive che prendono vita in certi pezzi, "Russian Winter" in primis, "This is War" e anche "The Devil and I (Pt.2)".

otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 11:57 del 6 gennaio 2011 ha scritto:

Figurati...il primo David, quello i cui dipinti vogliono rappresentare metaforicamente la rivoluzione francese, è eccezionale (ammirato quest'anno al Louvre),poi però diventa una sorta di ritrattista di Napoleone e secondo me i suoi quadri perdono molto fascino.

salvatore alle 12:16 del 6 gennaio 2011 ha scritto:

RE:

"Il giuramento degli Orazi" di David e La libertà che guida il popolo" di Delacroix sono i due dipinti francesi che più odio. Non so, sarà per quell'epicità e quella teatralità che sottende i loro lavori e che in pittura come in tutte le altre arti proprio non sopporto. Ed è una delle ragioni per cui mi tenevo all'inizio un po' alla larga da questo album, sbagliando... visto che è un album di un'intensità e di una bellezza fuori dal comune.

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 11:39 del 4 febbraio 2011 ha scritto:

Perfetto, anche per rappresentare il mio pensiero, il commento sotto di otherdaysothereyes. Trasformo soltanto il "s'intravedono ad intermittenza" in "sono più evidenti", ma i miei brani preferiti sembran proprio gli stessi suoi.