Perfume Genius
Learning
Un disco d'esordio è come un biglietto da visita, che come ci insegna American Psycho, vale più di mille parole: la scelta del font dei caratteri, le tonalità di bianco (dall'osso al pallido passando per il guscio d'uovo), la filigrana della carta... tutti elementi essenziali, fondamentali per la conquista di un nuovo ipotetico cliente. Nel caso specifico siamo noi il cliente e "Learning" il biglietto da visita che ci viene timidamente allungato dal giovane cantautore americano Mike Hadreas, in arte Perfume Genius.
Un'opera di neanche mezz'ora, corta e quasi trasparente, ma sufficiente a stabilire fin da subito piacevolissimi punti di contatto; proprio per quest'ultimi, buffa coincidenza, si potrebbe parlare di una tripla "S", che per amor di allitterazione sarebbe addirittura quintupla: atmosfere sospese da drone evanescenti, piccoli brusii a bocca chiusa (l'humming inglese rende decisamente meglio) e falsetti sovrapposti che rimandano ai Sigur Rós (la bellissima "Gay Angels", "No Problem"), una voce fragilissima e un trasporto emotivo nei testi che somiglia spaventosamente a quello del Sufjan Stevens più intimista e raccolto (molto nelle splendide "Look Out, Look Out" e "You Won't Be Here", qualcosa in "Perry"), e un pianoforte scordato d'altri tempi che respira polvere e che descrive parabole fanciullesche degne della miglior Soap&Skin ("Learning", "Write to Your Brother"). Un capolavoro del tutto inaspettato, se non fosse per un eccessivo ricalco di mano che fa percepire un pizzico di monotonia di troppo ("Never Did", "When").
Ma il ragazzo si rifarà alla grande, statene certi, è giovane e ha talento da vendere, bisogna solo aspettare la maturazione del caso. Nel frattempo mi tengo stretto il suo biglietto da visita, sicuro che presto mi tornerà utile.
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