Ellen Allien
Dust
Così non va. E cavolo, sì che avevamo bisogno di un disco techno, un po' di sano truzzo-chic ci avrebbe fatto bene, una vera e propria manna con l'estate ormai al tramonto. E invece no, Ellen Allien ci ha fregato. E lo fa con quel suo visino ricoperto d'argento, finto Mina, finto crucco, finto tutto. Ecco, ci ha ingannato con un'arma che da lei non ci saremmo mai aspettati: la finzione. Dopotutto fa anche la stilista ora, mascherare è il suo mestiere.
Ebbene, questo "Dust" è più inconsistente del suo stesso nome, più artificioso di un oceano di plastica, più tarocco di Wanna Marchi. E pensare che era partito piuttosto bene: bassi hi-tech e xilofono ipno-thriller ("Our Utopie"), per poi, proprio sul più bello, proprio quando ci prepariamo al botto tunz-tunz, rovinare tutto con i primi sospetti: una base elettronica del tutto simile alla precedente, solo in versione light & loung ("Flashy Flashy").
E qui il mio sopracciglio inizia a inarcarsi.
A farlo alzare ancor di più ci pensano ticchettii trillanti a mo' di sveglia; come tarli su un "Tree", m'infastidiscono a oltranza. Una musica, quella della Allien, che in questo momento ha le idee chiare quanto il titolo delle sue tracce. "Sun the Rain", tanto per citarne una: chitarrette giocattolo sullo sfondo e voce al metallo (arrugginito) piatta come il mio Samsung; se fosse in alta definizione (l'ugola) potrei quasi innamorarmi. Ma qui di definito c'è ben poco, sappiatelo.
Altri esempi di aridità invettiva non tardano a presentarsi attraverso le forme, per nulla aggraziate, di una minimal in rott(ur)a di collisione ("Should We Go Home") e di una IDM alle prese con fissazioni glockenspiel (lo "xilofono" che vi dicevo prima) e crisi d'identità ("Ever"). Fosse stato, quest'ultimo, un brano-riempitivo in un disco di buona musica elettronica (tedesca), sarei passato oltre con un sorrisetto sghembo tra le guance.
Ma è la sfacciataggine di questa disc jokey a darmi proprio sui nervi: l'avevamo ammirata insieme ad Apparat per la future-techno, il polimorfismo dei suoni e le sperimentazioni in e out beat di "Orchestra of Bubbles", non per questa specie di sottofondo da club lounge! Dispiace soprattutto perché lei ha talento, ma riesce anche a vendersi dannatamente bene...
Sorvolando la ridondante "Dream" (copia-incolla di "Flashy Flashy"), proviamo a salvare il salvabile: da apprezzare, perlomeno, il tentativo electro-pop di "Huibuh", vagamente caraibica e interessante in minima parte; discreta l'ultima track, "Schlumi", persino valida da metà in poi, tra prove dancefloor d'innovazione strumentale e richiami all'Allien che fu. Che tristemente fu.
Certo, se le sue intenzioni erano quelle di gettarsi polvere addosso, il suo compito può dirsi più che riuscito: occhio però Ellen, che hai alzato un polverone. Adesso pulisci!
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