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R Recensione

7/10

Creedence Clearwater Revival

Bayou Country

Vi furono negli anni sessanta alcune band americane che, pescando a piene mani dalla tradizione, passarono alla storia per averla saputa interpretare alla luce del nascente/neonato linguaggio del Rock; fra queste, è impossibile non citare i Byrds, co-inventori del folk-rock, o la Band, inventori del roots-rock. Se però si cercasse una band votata anche alla riscoperta delle radici più "nere" del movimento, il blues ritmico, talvolta "sinistro", alla Bo Diddley / Howlin' Wolf, non può che venire in mente una band: i Creedence Clearwater Revival.

L'esordio del '68, pur acerbo e dispersivo, già conteneva almeno due notevoli canzoni: una maestosa cover di Screamin' Jay Hawkins, “I Put a Spell on You”, e un avvincente acid-rock, “Gloomy”, con innovative parti di chitarra da cui, c'è da scommetterci, più di qualche musicista prenderà spunto - in primis un certo Neil Young. Ma è con “Bayou Country” che i CCR si scoprono musicisti maturi, forte di una scaletta più compatta (sei sole tracce, di cui due lunghe più di sette minuti, più una cover). Stupiscono maggiormente la potente e affascinante apertura vocale di John Fogerty, suggestivo come lo sarebbe un Captain Beefheart se smettesse di rantolare pazzamente ed iniziasse a “cantare sul serio”, e la sezione ritmica così pulsante, immutabile, come se ne sono sentite poche prima d'allora.

Prima inconfutabile prova di questa maturità raggiunta sono i cinque minuti di “Bayou Country”, dove i CCR suonano ciò che non era stato fatto nell'esordio: un ritmo paludoso e robusto, ricco di sfumature conferite da quadrate - ed eccellenti - divagazioni chitarristiche, su cui la fiera ugola di Fogerty può liberarsi come in un soul. Altro momento storico è “Proud Mary”, dove riescono disinvolti a (re?)inventare il country-rock e assieme a consegnare alla storia un ritornello indimenticabile. Queste due canzoni sono così tra gli intramontabili classici del periodo.

Ma il fascino del disco viene anche da altro, e questo “altro” sono soprattutto il possente blues-rockPenthouse Pauper”, con momenti epici da far impallidire i vari John Mayall e combriccola, e in particolare “Graveyard Train”, lungo racconto gotico per passeggiate notturne in cimiteri nebbiosi - e qui danno idee a un sacco di gente, da Cave e Waits a Osbourne per impostare il suo filtro del microfono.

Menzione a parte merita senz'altro la copertina, suggestiva come poche, ad opera di Basul Parik.

Bayou Country” contiene in effetti tutti gli ingredienti per poter considerarlo quale miglior album CCR della decade. Ingredienti tuttavia assolutamente non bastevoli, visto che la critica preferirà talvolta questo, talvolta “Green River” e talaltra “Willy and the Poor Boys”. Una perpetua indecisione che tutto sommato, vista la qualità media della suddetta trilogia, non può farci che piacere.

V Voti

Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 3 voti.
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zagor 8/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 0:19 del 10 dicembre 2019 ha scritto:

Il mio disco preferito in assoluto dei CCR - e Graveyard Train è un pezzo assolutamente superbo. La recensione è buona, ma a mio avviso sei stato un po' stretto col voto!

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 19:23 del 10 dicembre 2019 ha scritto:

Sempre troppo stretto di voti ahahah. RIguardo al legame tra Young e Fogerty credo che in comune avessero soprattutto la camicia di flanella...a parte questo, nel 68 Young il suo stile chitarristico lo aveva già plasmato ( pensa a un brano come Mr.Soul dei Buffalo Springfield), poi ci sta che entrambi si muovessero in territori non distanti. Entrambi hanno preso tanto da Link Wray sicuramente.

Utente non più registrat, autore, (ha votato 7 questo disco) alle 13:04 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

Oddio, in Mr. Soul Young ha un suo stile, ma Fogerty in Gloomy mi sembra ben più vicino alle sonorità nervose di "Everybody Knows", rispetto a Young stesso. Ricorda poi che Young allora era ancora indeciso su quale stile abbracciare, tanto che nel suo esordio ('6 sembra un folk-singer! Infatti "Everybody Knows" (dell'anno dopo, però) rappresentò un bello shock per il mondo del cantautorato, trovandosi in piene sonorità da garage-rock ma con forti elementi "acid" + la "mistica" aura da loner americano - tipo un Van Zandt incazzato e alticcio (mi fa tanto sorridere questa immagine). Quindi trovo sia perlomeno "abbastanza probabile" che Gloomy abbia influito sullo stile chitarristico di Young.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 14:50 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

Innanzitutto questo lavoro esce a gennaio del 1969, Young registro' i tre brani portanti di EKTIN ( Cinnamon girl, Down by the river, Cowgirl in the sand) nello stesso mese, per poi pubblicare il suo primo LP coi Crazy Horse a maggio...come diceva il mio prof di storia al liceo le date sono importanti, anche i giorni eheheeh

Inoltre, se non è nervosa, scorata, febbrile la chitarra in Mr Soul non so cosa altro lo sia: è quello che ha reso grande quel brano, che altrimenti sarebbe stato un semplice omaggio agli Stones...diciamo che nei Buffalo Springfield Young non andava ancora a briglie sciolte perché erano una band con molteplici personalità e influenze, cercavano di mettere tutto insieme non superando mai il formato classico dei 3-4 minuti di durata. La chitarra di Young andava pero' già in quella direzione, poi doveva raccordarsi con quelle di Stlls e Furay che avevano uno stile diverso ( Stills molto piu' pulito e tecnico in particolare). Ti posto la versione estesa, rimasta nei cassetti, di Blue BIrd dove si puo' ammirare una chitarra assolutamente pre-Crazy Horse per Nello. Anche nel debutto solista, che pure abbraccia molteplici stili ( dal folk allucinato di "Last trip to tulsa" al baroque pop di "Old Laughing lady" c'è una "The loner" in cui la parte di chitarra è a dir poco al fulmicotone. Poi quando Neil conoscerà Danny Whitten e la sua band troverà finalmente la sua dimensione ideale, almeno una delle due tante. Questo senza ovviamente declassare Fogerty e i CCR, che sono importanti almeno quanto Young nell'evoluzione del rock americano.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 15:15 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

Utente non più registrat, autore, (ha votato 7 questo disco) alle 17:20 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

I tuoi discorsi m'incantano, Zagor. Il brano live è una bella prova a sostegno di una tesi che smonta un pezzo della mia recensione; e che accetto volentieri; cioè che Young da già prima di Gloomy aveva un chitarrismo indirizzato verso sonorità nervose e finanche terroristiche. Ottima segnalazione.

Però, visto che ti piace fare il precisino con le date, farei notare come Gloomy non sia uscita nel gennaio '69, ma nel maggio '68 - e registrata a febbraio. Quindi prima ancora di The Loner. Qua mi sa che ti ho beccato : D

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 17:41 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

ahahahahah bravo, sei attento!

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 17:45 del 11 dicembre 2019 ha scritto:

ps. terroristiche pero' no, povero Neil...già Trump non gli vuole concedere la cittadinanza US

Utente non più registrat, autore, (ha votato 7 questo disco) alle 10:50 del 4 aprile 2020 ha scritto:

Ma che diavolo? L'autore può votare i "suoi" dischi??

Giuseppe Ienopoli alle 1:01 del 6 aprile 2020 ha scritto:

In un certo senso il Re_censore è il primo a dare il voto al disco che "adotta" e recensisce ... poi evita di andare in cabina con la matita e la scheda per una forma di "pudore autorale" avendo già indicato la propria valutazione agli utenti, che potranno confermarla o modificarla, finendo così per giudicare il recensore prima e il disco magari dopo.

Del resto la quantità dei voti o dei votanti serve a determinare solo la votazione media raggiunta dal disco ... non certamente a portarlo in Parlamento.

Io non darei molta importanza ai voti che diamo ai dischi ... spesso esprimono solo una soggettività nobilitata dal degusibusnondisputandumest detto tutto di un fiato, in un certo senso chi esprime il voto è come se volesse frizzare il disco alla maniera del grande fratello ... è un "così è se mi pare".

Al voto preferisco la valutazione strutturata sulle motivazioni che il disco suggerisce o meglio sulle emozioni che esso suscita in chi lo ascolta ... valutare con la parola è più impegnativo, stimolante e rispettoso ... dare il numero è riduttivo e non favorisce il confronto.

Mi fermo, del disco dirò qualcosa la prossima volta.

P.S.

... c'è posta per te e non la manda Maria ...