Creedence Clearwater Revival
Bayou Country
Vi furono negli anni sessanta alcune band americane che, pescando a piene mani dalla tradizione, passarono alla storia per averla saputa interpretare alla luce del nascente/neonato linguaggio del Rock; fra queste, è impossibile non citare i Byrds, co-inventori del folk-rock, o la Band, inventori del roots-rock. Se però si cercasse una band votata anche alla riscoperta delle radici più "nere" del movimento, il blues ritmico, talvolta "sinistro", alla Bo Diddley / Howlin' Wolf, non può che venire in mente una band: i Creedence Clearwater Revival.
L'esordio del '68, pur acerbo e dispersivo, già conteneva almeno due notevoli canzoni: una maestosa cover di Screamin' Jay Hawkins, I Put a Spell on You, e un avvincente acid-rock, Gloomy, con innovative parti di chitarra da cui, c'è da scommetterci, più di qualche musicista prenderà spunto - in primis un certo Neil Young. Ma è con Bayou Country che i CCR si scoprono musicisti maturi, forte di una scaletta più compatta (sei sole tracce, di cui due lunghe più di sette minuti, più una cover). Stupiscono maggiormente la potente e affascinante apertura vocale di John Fogerty, suggestivo come lo sarebbe un Captain Beefheart se smettesse di rantolare pazzamente ed iniziasse a cantare sul serio, e la sezione ritmica così pulsante, immutabile, come se ne sono sentite poche prima d'allora.
Prima inconfutabile prova di questa maturità raggiunta sono i cinque minuti di Bayou Country, dove i CCR suonano ciò che non era stato fatto nell'esordio: un ritmo paludoso e robusto, ricco di sfumature conferite da quadrate - ed eccellenti - divagazioni chitarristiche, su cui la fiera ugola di Fogerty può liberarsi come in un soul. Altro momento storico è Proud Mary, dove riescono disinvolti a (re?)inventare il country-rock e assieme a consegnare alla storia un ritornello indimenticabile. Queste due canzoni sono così tra gli intramontabili classici del periodo.
Ma il fascino del disco viene anche da altro, e questo altro sono soprattutto il possente blues-rock Penthouse Pauper, con momenti epici da far impallidire i vari John Mayall e combriccola, e in particolare Graveyard Train, lungo racconto gotico per passeggiate notturne in cimiteri nebbiosi - e qui danno idee a un sacco di gente, da Cave e Waits a Osbourne per impostare il suo filtro del microfono.
Menzione a parte merita senz'altro la copertina, suggestiva come poche, ad opera di Basul Parik.
Bayou Country contiene in effetti tutti gli ingredienti per poter considerarlo quale miglior album CCR della decade. Ingredienti tuttavia assolutamente non bastevoli, visto che la critica preferirà talvolta questo, talvolta Green River e talaltra Willy and the Poor Boys. Una perpetua indecisione che tutto sommato, vista la qualità media della suddetta trilogia, non può farci che piacere.
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