The Rides
Can't Get Enough
Dietro ad una copertina e ad una ragione sociale abbastanza anonimi si cela il ritorno sulle scene di Stephen Stills, 68 anni a breve , in compagnia del coevo tastierista Barry Goldberg, con Stills nella Supersession di Al Kooper e Mike Bloomfield del 1968, e del chitarrista Kenny Wayne Sheperd, quasi trentanni in meno dei due sodali , accompagnati da Chris Layton, ex Double Trouble, e dal bassista Kevin Mc Cornick. Le coordinate le abbiamo date più o meno già tutte: blues, rock, un pizzico di folk e chitarre a profusione, con Sheperd nella parte del giovane incendiario a spargere lapilli elettrici fra covers ed originali, divisi equamente al canto fra lo stesso chitarrista e Stills.
La differenza fra le corde vocali dei due è una delle cose che si notano immediatamente: la seta e sabbia di Stills, seppure appannata dagli anni, risulta infinitamente più suggestiva del cantato a scartamento ridotto di Wayne Sheperd, che dà il meglio invece nei riff ed assoli più hendrixiani dellalbum, contraltare alle parti pulite ed eleganti, inequivocabilmente farina del sacco del californiano.
Dopo una possente Roadhouse iniziale, tocca a Sheperd imbastire il boogie di Thata a pretty good love, seguita da una delle perle del cd, lo slow blues Dont want lies con le chitarre che si incrociano mostrando tutte le differenze e le diverse suggestioni dellincontro fra generazioni e sensibilità diverse.
Ci sono molte cover su Cant get enough: la più improbabile è Search and destroy degli Stooges pre punk, con Iggy Pop che entra in qualche modo in questo piccolo tempio delle varianti blues, mentre la più suggestiva è attinta dal songbook di Neil Young , Rockinin the free world nella quale il canadese si unisce al vecchio compagno in una corale e tostissima versione del vecchio inno.
Stills non dimentica le proprie matrici soul, e nella title track arricchita da cori gospel offre unaltra delle cose migliori, con alternanza di chiari e scuri da brivido e Kenny Wayne impegnato a tirare il collo alla sei corde. Al giovane chitarrista tocca invece un paio di cover dannata, Honey bee da Muddy Waters e Talk to me di Willie Dixon, e qui le atmosfere si fanno decisamente retro, e avvolti dallhammond e da fiumi di assoli viene facile immaginarsi in un fumoso locale sul Mississippi. Il finale è ancora per Stills con Only teardrops fall che richiama certi soul blues di Clapton, e la cavalcata di Word game, groove incalzante arricchito da percussioni e basso implacabile e chitarre ancora in grande evidenza .
Non è Supersession, non è un capolavoro, ma se amate il blues e le chitarre o il dolceamaro di Stills, oppure tutte e tre le cose, qui cè da divertirsi.
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