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7/10

Conor Oberst

Conor Oberst

Oberst on the road. Oberst escapista. Oberst beatnik in Messico. Da depresso compulsivo intruppato in noie post-adolescenziali Oberst da Omaha è passato a simbolismi più ardui, alla disperata ricerca di una via di fuga dall’America infelice che tanto (ferocemente) ha cantato, fino all’ultimo ultra-arrangiato “Cassadaga”. E lo fa come sempre: da eterno pessimista dalla voce spastica. E lo fa bene.

E lo fa (sorpresa!) col suo vero nome: Bright Eyes è lasciato alle spalle e la camarilla della Saddle Creek diventa per l’occasione The Mystic Valley Band (l’album è stato registrato a Tepoztlan, con l’anima azteca ancora strisciante tra i barri e le strade di polvere). È tipico dei folk singers, pare, cambiare nomi col tempo per incanalare le proprie diverse vene e dare ordine alla propria fluvialità: Will Oldham insegna. Ma è anche vero che l’etichetta vuol dire poco: questo lavoro suona come suonava Bright Eyes, con meno gingillamenti decorativi rispetto a “Cassadaga” e meno indugi lo-fi rispetto ai primi tempi. Bright Eyes, voglio dire, avrebbe fatto lo stesso disco: different names for the same thing, direbbe Ben Gibbard.

È vero, in compenso, che il ventottenne del Nebraska ha affinato la propria scrittura – già alta, per la verità, quando il ragazzo lottava ancora contro i brufoli – e che i suoi pezzi si compongono di un impianto testuale sempre più interessante e di spessore: non è poco, anche se non è ancora abbastanza per reggere il confronto col vecchio Dylan, per quanto ne dicano Oberst e i suoi acclamatori. Si sa, però, che la modestia non è di casa a Omaha. Prendere o lasciare.

Tutto il disco, ovviamente self-titled, si costruisce sui temi della fuga e del viaggio, della scoperta e della ricaduta in un sé disilluso che Oberst estende a tutti, anche alla controfigura del giovane “Danny Callahan” («but even western medicine, it couldn't save Danny Callahan»). E allora la disperazione è devastante, come nella struggente “Lenders In The Temple” (momento più alto), perché le vite si consolano del solo fatto che le cose potevano andare peggio («Smile, all that you can feel is gratitude for what has been, ‘cause it did not happen»). Il finale è persino più cupo: nella lunga ballata-litania “Milk Thistle” la sola soluzione che sembra trovare Oberst è la lenta autodistruzione attraverso l’alcol. Vive le roi, le roi est mort.

E la filosofia beat? L’evasione liberatoria del vagabondo deraciné? Non manca. Anzi. Occupa buona parte del disco: la parte più accelerata, da Tom Petty dei bei tempi (“Moab”), la parte dell’alt-country con piano da saloon (“I Don’t Want To Die [In A Hospital]”), la parte folk rock in cui l’estro è a briglie sciolte (“Souled Out!!!”, “Get-Well-Cards”). E pazienza se i giri di accordi e le melodie vocali richiamano a ogni pie’ sospinto episodi dei dischi precedenti: il passato è l’unica cosa da cui non si può fuggire («the past don’t ever quit», “Eagle On A Pole”).

Promosso Oberst. Senza l’eccesso di zelo che appesantiva certi passaggi del disco precedente, il ragazzotto ha ritrovato se stesso (esemplare “Cape Canaveral”). Sradicarsi fa bene, si sa.

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C Commenti

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simone coacci alle 18:16 del 5 settembre 2008 ha scritto:

Io questo signorino lo conosco poco, di lui posseggo un solo disco, "Lifted or the story e vattelapesca", si chiama, ed è, peraltro, molto bello. Il problema, più che altro, è quell'aria indifesa da cocco di mamma viziato che nelle donne fa scattare il classico istinto materno e che in me, invece, fa scattare il classico istinto omicida. Target lieve, preciso e impeccabile, anche se, per quanto riguarda il disco, mi sa che passo.

fabfabfab (ha votato 6 questo disco) alle 22:55 del 8 settembre 2008 ha scritto:

RE:

Coacci, mi sa che se io e te ci scambiamo le rispettive fonoteche non ce ne accorgiamo nemmeno. Anche io posseggo solo "Lifted .. ", bello, prolisso, verboso ed ispirato. Poi ho seguito sto ragazzetto a distanza. L'accoppiata successiva era ancora buona, "Cassadaga" era appena sufficiente, questo è poco più su. La recensione è perfetta, a mio avviso. Certo, hai "rischiato" di paragonare Oberst ad Oldham, quindi, secondo le leggi dello Stato dei Miei Gusti Musicali potrei chiedere l'estradizione e processarti.

rubens (ha votato 8 questo disco) alle 16:13 del 6 settembre 2008 ha scritto:

Recensione splendida come al solito. Il disco è uno dei migliori di sempre di Oberst, IMO

target, autore, alle 10:28 del 9 settembre 2008 ha scritto:

Sarei senz'altro scagionato: il mio avvocato difensore è cat power... In ogni caso, l'album di Oberst più riuscito è, a mio avviso, uno dei primi: "Fevers and mirrors" (2000). Un concept avvinazzato sulla fine dell'adolescenza che fa pensare più ai Pogues che a Dylan, pieno di pezzi disperati ed intensi, e con intuizioni liriche davvero notevoli. "Lifted" non è entusiasmante.

simone coacci alle 11:56 del 9 settembre 2008 ha scritto:

Perchè la Cat ha paragonato 'sta specie di Tobey Mc Guire a Will "Genio Ribelle"? Allora è proprio vera 'sta cosa dell'istinto materno.

ihihihih

un saluto, carissimi.

target, autore, alle 12:25 del 9 settembre 2008 ha scritto:

Cacchio, speravo non me lo domandaste... No, la Cat mi serviva solo per distrarre la giuria. Comunque, simò, non per ingelosirti perché so che ci tieni, ma mi sa che Chan se la farebbe con Oberst piuttosto che con Sam Beam...

swansong alle 11:30 del 7 novembre 2008 ha scritto:

Mi sta affettuosamente sulle palle!

Non che sia male il ragazzo, ma mi irritano le pose e le forzature a voler a tutti i costi sembrare e suonare come fosse il Cohen del 2000, ma và, và!

E poi perchè abbandonare il progetto Bright Eyes, per riporre da solista la solita minestra? Ecco, confermata la mia antipatia per tale genere di personaggio...

bargeld (ha votato 6 questo disco) alle 12:57 del 2 aprile 2009 ha scritto:

lo ammetto, sono un fanatico dello spocchioso conor, ho tutto ma proprio tutto di sto ragazzo, e mi permetto perciò di apprezzare con relativa freddezza questo disco, proprio per via della boria che non ha e che me lo ha fatto amare in precedenza.

target, autore, alle 13:47 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Perché dici che qui Conor è senza boria? Inchessenso? Sì, è un po' più ordinario, diciamo. Lo era già con Cassadaga, però. E tutto sommato il risultato mi è sembrato agli stessi livelli, se non superiore. Pare, comunque, che sia la strada intrapresa con il nuovo moniker: anche il prossimo sembra proseguire questa strada. Scordiamoci "fevers and mirrors"...

bargeld (ha votato 6 questo disco) alle 15:00 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Esatto un po' più ordinario... strascichi di magniloquenza erano presenti ancora in Cassadaga, secondo me anche più solido nella scrittura, ma qui stento a trovarne. Non che sia negativo, ma se proprio quello me lo ha fatto amare, ecco che le mie valutazioni ne son condizionate! Quanto l'ho amato, "Fevers and mirrors"...

target, autore, alle 15:10 del 3 aprile 2009 ha scritto:

Sì, quell'Oberst un po' Shane MacGowan, storto e sporco, ci piaceva di più, non c'è che dire. "Fevers and mirrors" è un ritratto della fine dell'adolescenza in tempo reale (a differenza, visto che ne stiamo parlando altrove, del sussidiario) da brividi, e mantiene una corrispondenza forma/contenuto sbalorditiva. Capolavoro. (Una tua recensione ci starebbe a pennello, no? La maturità sta rendendo Oberst un po' troppo prevedibile e in ghingheri, sì. Speriamo che gli arrivi presto una crisi di mezza età...

bargeld (ha votato 6 questo disco) alle 15:15 del 3 aprile 2009 ha scritto:

eh eh la crisi di mezza età! la corrispondenza con McGowan ci sta a pennello, proprio quello che intendevo! su "Fevers and mirrors" vedremo... non so se riuscirei a mantenere il giusto distacco!

Roberto Maniglio (ha votato 6 questo disco) alle 21:13 del 30 agosto 2009 ha scritto:

due-tre ascolti massimo...