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R Recensione

6/10

Keaton Henson

Birthdays

Keaton Henson: nel riferirci al ventiquattrenne londinese, solo una manciata di mesi fa, su queste pagine si scriveva di solitudine, catastrofe privata, personalità schizoide, attacchi di panico. Cantautorato folk intimo, disperato. La prima parte di “Birthdays”, nella sua essenzialità di strutture all’osso, non scosta di un centimetro il tratto peculiare del nostro: ne enfatizza, se possibile, ancor più l’intensità e la portata emotiva. In questo senso, Keaton ci consegna fin da subito una manciata di pezzi in continuità: la modulazione insieme angelica e straziante di “Teach Me” ("mold me to the man that I should be/ but don't consider that man to be free"), la ricorsività essenziale, gracile di “10am Gare du Nord” ("please don’t hurt me/I am the fragile one”), l’arpeggio mite e avvolgente di “Lying To You”.

Ma poi eccoli, in ordine: un rullante esile a sostenere il bending sussurrato di “The Best Today”; la deflagrazione e il muro (alt) rock che non ti aspetti. Giunge dissonante, fragore denso, in “Don’t Swim”.

Laddove in “Dear…” il solo moto ribelle si esprimeva in qualche accenno nello stile tensivo delle sei corde (ad esempio, in un capolavoro come “You Don’t Know How Lucky You Are”) in questo sophomore vi è più d’una occasione per lasciarsi andare, varcando le soglie di un escapismo radicale. Sì, totalmente, in “Kronos” - ma con risultati discutibili; in modo seducente, invero, nel banjo, nell'elettricità e nel martellio dell'inno “Beekeeper". Questa parziale nuova veste, suggerita e prodotta da Joe Chiccarelli (The White StripesThe Shins, The Strokes), è stata accompagnata dal trasferimento di Henson ad Hollywood per la registrazione dell’album. Si legge di un ragazzo terrorizzato dall'esperienza, il quale ha dovuto ricreare la stessa atmosfera della sua casa londinese per non crollare; ma che ha avuto sopratutto l'occasione di confrontarsi e collaborare con artisti come Tyler Ramsey (Band of Horses), Sune Rose Wagner (The Raveonettes) e Matt Chamberlain (in passato collaboratore, tra gli altri, di Tori AmosPearl Jam).

Il risultato è un album sì dal sound maggiormente sfaccettato (anche fisico, com'è stato detto) ma il quale perde di molto in sostanza e in efficacia emozionale rispetto a "Dear...". In questo senso, l'esordio pareva inattaccabile. 

Ultimo elemento di novità è l’utilizzo del piano, proprio in coda al disco, quale scheletro della ballata “In the Morning”. Non con le stesse caratteristiche canore e le stessa dinamiche, ma per intensità vicino all’epica essenziale di Perfume Genius. Apertura epica che sfocia nondimeno dalla trama minima, e nel riverbero di “Sweetheart, What Have You Done to Us” (già titolo dell'EP, rilasciato a novembre, ad anticipare l'uscita del nuovo disco).

Un talento puro (perché incontaminato, anche patologico) Keaton Henson; e che non vorremmo fosse intaccato eccessivamente, come in parte accade in questo "Birthdays".

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 19:27 del 22 agosto 2013 ha scritto:

È un disco, questo, che ho avuto modo di ascoltare parecchio nelle ultime settimane. Aldilà dei limiti della scrittura musicale ancora un po’ acerba e diseguale si avverte forte e pulsante, secondo me, una sensibilità interpretativa e una personalità dolente e introversa che rischia quasi ad ogni pezzo di debordare dai suddetti limiti e che lascia intuire margini di miglioramento suggestivi. E pensare che – ignaro della bella scoperta di SdM – mi ero imbattuto in Henson per puro caso, mentre scorrevano i titoli di coda di una serie inglese che si chiama “In The Flesh” (inedita in Italia ma facilmente rintracciabile in streaming) che contenevano due sue (bellissime) canzoni, “Charon” e “Corpse Roads”, risalenti però al primo album. La serie in questione, tra l’altro, meriterebbe un plauso e un approfondimento a parte, per come, a partire da un tema oggi più che mai abusato, quello degli zombie, riesce a raccontarne le implicazioni da un punto di vista esistenziale (e adolescenziale) che induce alla commozione (e alla riflessione morale) più che all’orrore fisico e alla repulsione…ma questa è un’altra storia e rischiamo di andare OT. Bravo Mauro, come sempre.

Jacopo Santoro (ha votato 7 questo disco) alle 11:43 del 27 settembre 2013 ha scritto:

Talento puro e incontaminato, come giustamente afferma Mauro.

"You" è toccante. Disco di livello, come il precedente.

Nuovo genio.

Lezabeth Scott alle 18:13 del 7 novembre 2013 ha scritto:

Quando singhiozza "Believe me...believe me, this loneliness won't go away" mi si stringe troppo il cuore. Fa venire voglia di abbracciarlo e volergli tanto bene.