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R Recensione

8/10

Iron and Wine

Kiss Each Other Clean

Si rifà vivo dopo quattro anni, come se niente fosse. In punta di piedi, com’è nel suo carattere. Con passi felpati come le ciocche della sua barba. Come se niente fosse. E niente fosse cambiato, soprattutto. Mentre per gli altri, per chi lo ascolta da un po’, il tempo passa e le cose cambiano, invece. Perché nel frattempo c’è stata quella canzone, bellissima a dispetto di ogni altra estranea considerazione, Flightless Bird, American Mouth, suonata nel fotoromanzo vampiresco “Twilight” (la famosa scena del ballo, le vostre amiche e fidanzate lo sanno), grazie alla quale uno stuolo di adolescenti più o meno rincretiniti ha cominciato a prendere confidenza con il genio timido di questo fratello molto più grande e così poco glamour, nascosto dietro uno spiovente sipario di barba e capelli. Poi c’è stato il cambio di etichetta, dalla Sub Pop alla 4AD, che in America vuol dire Warner Bros, ovvero l’anticamera del ballo mascherato delle major (e della celebrità). E poi questo.

Kiss Each Other Clean che vuol dire più o meno “baciamoci fino a scomparire”. Una dichiarazione d’amore, o meglio di disamore, universale nei confronti di un mondo che l’unico amore che riesce a concepire è quello per i soldi: il sesso, la ruffianeria, il tempo, il salario, merci di scambio in questa sconcia pornocrazia su scala occidentale che ogni giorno si arricchisce di nuove nefandezze e che in Italia conosciamo fin troppo bene (“cause the rabbit will run/ and the pig has to lay in his piss”, sussurra velenoso Sam, ognuno dia a quel maiale il primo nome che gli viene in mente, io non vi ho detto nulla…). Difatti dietro il suono apparentemente morbido, pacioso e solare, Kiss Each Other Clean è un album molto più complesso e sfaccettato di quel che sembra, e molto meno ottimista. Basta ascoltare il primo pezzo in scaletta, la bellissima Walking Far From Home, dal passo claudicante e dalle discrete orlature di synth, con tutti quegli “I Saw…I Saw…” spiritati e angoscianti che rimandano al Dylan più profetico e all’“Apocalisse” di Giovanni (“I saw sickness bloom in fruit trees/ I saw blood and a bit of it was mine/ I saw children in a river/ But their lips were still dry, lips were still dry”), per accorgersene. O l’ultimo, “Your Fake Name Is Good Enough For Me”, con la strofa lanciata e swingante, spronata dai fiati che - a 3 minuti circa - dopo un cambio chitarristico degno del miglior Neil Young si sgretola in un inquietante e affannoso cupio dissolvi (“We will become/ Become/ The damage done/ We will become/ Become/ Whispers in the shout/ (…) We will become/ Become/ Forgotten names”).

In mezzo c’è di tutto e di più: brani dove il folk pelle e ossa del vecchio Iron & Wine, già emendato nello squisito predecessore The Shepherd’s Dog, diventa un country soul insieme antico e moderno, corale e onusto di afrori west-coast (Glad Man Singing, Tree By The River, il finissimo doo-wop di Half Moon, God Bless Brother In Love, tutta intarsi di arpeggi e contrappunti di piano), funky groove da eremiti e cantici delle creature come Monkey’s Uptown e l’insospettabile Big Burned Hand o fuochi di Sant’Elmo del cantautorato di oggi (o di quel che ne resta) come la miracolosa Rabbit Will Run, con la sua melodia ipnotica e cantilenante, la sua chitarra ispida e gracidante, il flauto freak e quella sfumatura pow-wov e pellerossa in cui Sam ha spesso intinto l’acquerello.

Ebbene si: “Honest” Sam Beam non è affatto cambiato, è sempre lui. A cambiare, come ne “Il ritratto di Dorian Gray”, è stata la sua musica. Cambiata si, ovvero arricchita, colmata, indorata, limata, ma sempre così nitida e trasparente da rifulgere in filigrana la poetica trasandata, antieroica, aurorale del suo autore. E a noi piace tanto, ma proprio tanto, così com’è.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 25 voti.

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fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 10:31 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

Questo è uno che parte avvantaggiato, con quella voce e quella capacità di scrivere melodie-killer.

Disco attesissimo, almeno dal sottoscritto, che continua a considerare "The Shepherd's Dog" uno dei più evidenti capolavori degli ultimi 10 anni. "Your Fake Name Is Good Enough for Me" è assolutamente all'altezza di quella scrittura, così piena e carica di sfumature esotiche. Stesso dicasi per "Rubbit Will Run", forse il brano migliore. Ecco, secondo me il barbuto adesso è diviso in due: la sua anima è sempre in brani come questi, liberi nella forma e nella melodia. Altrove l'impressione è che cerchi una sintesi pop che - se non provoca danni evidenti - (perchè il resto del disco è composto da ottime canzoni) quanto meno ne limita l'impeto creativo e - ma magari mi sbaglierò - privilegia l'impatto immediato rispetto alla "tenuta" ad ascolti ripetuti. Sarebbe 7,5.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 19:44 del 22 gennaio 2011 ha scritto:

Non l'ho proprio mai approfondito (un modo gentile per dire, insomma, che non l'ho mai cagato di striscio). Questa recensione mi ha portato istantaneamente a farlo. Grande Simone.

Dirty Frank (ha votato 8 questo disco) alle 15:26 del 23 gennaio 2011 ha scritto:

Tra i migliori

Lo considero tra i migliori folk singer degli ultimi anni. Ha questa capacità di spaziare di genere in genere che ha ormai dilatato il suono classico del suo folk (iniziale) fino a tramutarsi in un insieme originale ed eclettico.

Insieme a Bon Iver, rappresenta davvero il meglio del cantautorato americano in questo momento.

sarah alle 11:48 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

Bellissima la recensione, conto di ascoltarlo al più presto.

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 18:41 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

Walking Far From Home

Album coraggioso per il tentativo (quasi) riuscito di reinventarsi, ma replicare la magia di "The Shepherd's Dog" era impresa ardua...Il barbuto Sam fa l'alchimista giocherellone e crea un ibrido di lontani amori giovanili (Elton John, Fleetwood Mac, Supertramp), spiccano comunque le tracce che rispolverano il vecchio sentiero indie-folk come "Half Moon" e "Glad Man Singing".

george (ha votato 8 questo disco) alle 18:31 del 7 febbraio 2011 ha scritto:

quasi 9

....bello!!

elettronica, sax, coretti pop, rumorismo!!

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 22:03 del 8 febbraio 2011 ha scritto:

Mi riservo qualche altro ascolto, ma l'ho trovato francamente bellissimo. Molto vario, soprattutto. Gospel, Fleet Foxes, indie rock, folk pastorale, funk e una cosa come "Rabbit Will Run" che sta al di fuori di tutto. Fra l'8 e il 9 per ora, ma voterò più tardi.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 18:42 del 19 febbraio 2011 ha scritto:

8. "Rabbit Will Run" e "Your Fake Name Is Enough For Me" le mie preferite.

paolo gazzola (ha votato 7 questo disco) alle 15:39 del 24 febbraio 2011 ha scritto:

Sì, disco davvero sontuoso. Non c'è una cosa fuori posto, non c'è nulla di imperfetto eppure, come è sempre stato con i suoi lavori (problema mio, dunque), non riesco a farmelo piacere fino in fondo. E' come se ne avesse fin troppo, come se non dovesse impegnarsi davvero a fondo per tirar fuori le sue gemme (melodie perfette sì, ma troppo reiterate per la natura "easy" che ora affiora così evidentemente). Il risultato è che il disco mi emoziona poco, non graffia, e il cuore dell'autore rimane invischiato nella perfezione degli arrangiamenti. Dopo pochi ascolti, dunque, annoia. Comunque, avercene. Il finale di Your Fake Name Is Good Enough for Me è una meraviglia.

nebraska82 (ha votato 8 questo disco) alle 13:46 del 26 marzo 2011 ha scritto:

Ennesimo grande lavoro, viva il cantautorato barbuto!

REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 9:15 del 28 giugno 2011 ha scritto:

"Si rifà vivo dopo quattro anni"... Around the well, uscito nel 2009, sia chiaro, quello non conta. Scriveva sempre Simone nella rece a quello dedicata: è un doppio album che contiene inediti e b-sides che prendevan polvere nei cassetti di Sam Bean o sugli scaffalli della Sub Pop, licenziato di comune accordo dal cantautore e dalla sua casa discografica in attesa di uscite più significative. Eccola qui l'uscita che "conta". Come dicono in tanti replicare la magia di The sheperd dog non era impresa facile, come non lo era, facciamo un esempio non a caso, per Sufjan Stevens replicare quella di Illinois. E' necessario (si dice bene qua sotto) reinventare la propria musica, prendersi dei rischi. Questo mi pare dica Simone nell'ultima parte della sua rece e questo mi dice soprattutto l'ascolto comparato delle due opere. L'ha fatto anche Stevens a dire il vero, ma la cosa qui mi sembra più riuscita. In diretta mi prendo anch'io i miei rischi e dico non solo che l'irrorazione di negritudine nel sangue del ns. post-cowboy ha fatto bene, ma anche che quest'album vale il "precedente". Miglior disco barbuto dell'anno finora e con grande distacco.

target (ha votato 7 questo disco) alle 19:20 del 28 giugno 2011 ha scritto:

Miglior disco barbuto dell'anno finora e con grande distacco

Anche per me. Nel senso che è l'unico che riascolto. Gli altri (Fleet Foxes, Pearson, Bon Iver, Callahan - che pure è sbarbato) tutti cestinati, con picchi di stizza per i primi due, per me davvero pochissima cosa. E intanto la mia barba cresce.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 15:32 del 24 settembre 2011 ha scritto:

Beam artista di categoria superiore: a cominciare dalla sua volontà di aprirsi, nuovamente - anzi, ancor di più -, ad influenze "altre". non è un reinventarsi totale quello di "kiss each other clean": la proposta mantiene la sua ossatura (è folk, e quella rimane), facendosi, però, ben più "porosa", contaminata com'è da influssi electro, funk, soul, jazz, world - i tropicalismi, quando ci sono, a gogò!. e ciò è riflesso perfettamente dagli arrangiamenti, nella grana e dalla qualità (superba) della produzione. così come nel taglio "pop" che (quasi) ogni composizione possiede. e se "tree by the river", "godless brother in love" emozionano sinceramente a più riprese, e l'introspezione esistenziale ("walking far from home") stende per lucidità e suggestioni che rimanda (insieme allo splendido country folk di "half moon"), ad esaltare ci pensano le meraviglie stilistiche e d'arrangiamento di "rabbit will ran" e di "your fake name is good enough for me" (si sfiora il capolavoro, sicuro!). insomma, album ottimo (per me, non "il" ma "tra" gli album barbuti dell'anno ...commenterò più avanti). 8!

bill_carson (ha votato 8,5 questo disco) alle 2:14 del 5 dicembre 2012 ha scritto:

gioiellino. paradigma di quel che significa per me cantautorato americano di nuova generazione. qui radici e sperimentazione si sposano in modo mirabile. a differenza per esempio di quel che accade in age of adge di stevens che sembra più il disco d'un cantautore che s'è preso una sbandata per l'elettronica e non c'ha capito un cazzo