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R Recensione

6/10

Panda Bear

Tomboy

Lungi dal cadere in qualsiasi tentazione legata al mercato e alle sue diaboliche leggi di sottrazione nei confronti dei vari coefficienti di creatività, Panda Bear battezza il biennio di pausa finora intrapreso dagli Animal Collective con la sua nuova e largamente anticipata fatica su lunga distanza dal titolo, vagamente cameratistico, “Tomboy”.

Preceduta da diverse release di singoli episodi estratti dalla tracklist finale, questo nuovo lavoro del poliedrico vocalist e strumentista americano era atteso al varco con spasmodica e religiosa attesa, visti i risultati del precedente “Person Pitch” ritenuto da 101 critici su 100 un disco quantomeno “monumentale” e non a torto.

Nel frattempo qualcos’altro di monumentale era uscito, ma a nome di tutta la band, quel “Merriweather Post Pavillion”  che riuscì nell’epica impresa di far quadrare il cerchio compositivo con numerosi sensi compiuti, laddove la caratteristica fondamentale del sound tipico del combo di stanza a Baltimora  era l’affascinante irrisolutezza della miriade di spunti e idee sparsi nella loro discografia.

Cosa aspettarsi dunque, dall’album che avrebbe seguito a ruota due simili mostri sacri del synth-pop psichedelico moderno? Beh senza dubbio una continuità qualitativa e delle ovvie e ulteriori sperimentazioni mirate ad arricchire e rinfrescare un marchio di fabbrica nato ormai da un decennio che conta all’interno della sua libreria centinaia di spartiti.

“Tomboy” gode della voce sciamanica di un Lennox capace di ipnotizzare anche con dei semplici gorgheggi e che stavolta, più delle precedenti, riesce a calamitare e sostenere gran parte delle intuizioni melodiche e astrali che compongono il disco.

Disco che risulta senz’altro più diversificato rispetto al precedente album solista di Lennox  ma che segue piuttosto da vicino le orme, soprattutto ritmiche, dell’ultimo lavoro di gruppo. Ma anche in riferimento ad una smaccata preferenza per un concetto, seppur abbastanza deviato, di forma-canzone.

Parzialmente deficitario dal punto di vista dell’atmosfera e del concept di fondo, “Tomboy” dà la sensazione di esser stato più compilato che concepito nell’insieme, e pur senza vistose cadute di tono, gioca sull’impatto vincente di taluni episodi di alto livello (su tutti “You can count on me”, “Benfica”, “Last night at Jetty” e la titletrack) i quali hanno sì il pregio di promuovere il repeat per numerose volte ma sfidano l’arma a doppio taglio di mettere in risalto l’handicap di quelle canzoni meno compiute e corpose.

Se a questo aggiungiamo delle idee di fondo non clamorosamente differenti da quanto proposto finora, se non nel mood meno enigmatico di buona parte del disco, arriviamo alla facile conclusione che “Tomboy” non manca di tocchi di alta classe ma nemmeno di non trascurabili istanti di monotonia che non spingono l’ascoltatore a preferirlo ai suoi predecessori.

V Voti

Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 9 voti.
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Teo 6/10
gull 7/10
luin 7/10
Cas 5/10

C Commenti

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target alle 12:20 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Se un giorno a Pictionary dovessi disegnare la noia, disegnerei un panda e un orso vicini, o al limite un orso che guida una Panda. Salvo solo "Slowmotion" e qualche altro passaggio nella prima parte; il resto è estenuante. Bravo Mino. Il voto lo abbasserei di due.

gull (ha votato 7 questo disco) alle 12:45 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Mi sa che resterò l'unico a cui, sostanzialmente, è piaciuto.

Trovo bellissime "slow motion", "afterburner", "alsatian darn", "benfica" (quest'ultima un pò meno). Quelle voci "per accumulo" su quei ritmi: magnifiche!

Il resto non mi esalta (qualcos'altro di discreto), e trovo vari momenti di stanca. Complessivamente per me è 7.

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 13:41 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Sicuramente meno ispirato del precedente (non poteva che essere così), ma con momenti notevoli. Bellissime "Benfica" e "Last Night At the Jetty" e le loro toccanti e ipnotiche melodie. Molto belle anche "Surfer's Hymn" con quella specie di ritornello circolare, appiccicoso, incasinatissimo e "You Can Count On Me". Concordo però su qualche monotonia e prolissità di troppo. In questo ambito, decisamente meglio il grizzly rispetto al panda. Direi 6,5... E comunque continuo a preferire il Lennox solista a quello "animalesco". Bella recensione!

MinoS., autore, alle 14:01 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Quanto ho scritto non voglio che sia interpretato come una caduta di stile. Il voto che ho dato è più in proporzione a quanto fatto finora da Noah..nel complesso del target musicale di riferimento, la vetta resta inalterata.

paolo gazzola (ha votato 7 questo disco) alle 18:35 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Sì, anche per me è un "buon" disco. Virgolette d'obbligo, ché il Panda non è che mi abbia fatto impazzire neppure col "capolavoro" Person Pitch. Molto affascinante il lavoro sui suoni (degli strumenti analogici, soprattutto), vera novità del disco, ma le (pur sempre belle) melodie che continuano a girare intorno ad un solo modello hanno un po' stancato. Così com'è ormai logora la veste psichedelica: ci si è assuefatti e il viaggio inizia ad essere un tantino noioso. Io, a lui e a Tare solisti, continuo a preferire il collettivo.

MinoS., autore, alle 9:05 del primo giugno 2011 ha scritto:

RE:

Il Tare solista è davvero improbo..

luin (ha votato 7 questo disco) alle 19:01 del 31 maggio 2011 ha scritto:

Meno ambizioso e più tradizionale del fratello maggiore Person Pitch, ma nel complesso non mi ha deluso. Forse non c'è niente di particolarmente memorabile ma non manca di tante melodie azzeccate e ritornelli appiccicosi. La copertina della recensione però è quella del singolo omonimo e non dell'album

countingcrow76 (ha votato 6 questo disco) alle 6:43 del primo giugno 2011 ha scritto:

niente a che vedere con person pitch uno dei migliori dischi del decennio passato...

Cas (ha votato 5 questo disco) alle 11:16 del primo giugno 2011 ha scritto:

D'accordo con countingcrow, qui siamo su un livello nettamente inferiore... Nello scorso Person Pitch era come sentire i Beach Boys dall'utero materno, c'era una devozione totale nell'offuscare, nell'anestetizzare, nel costruire le melodie per sottrazione, arrivando direttamente al loro nocciolo vitale. Qui l'hauntologia di Lennox subisce una fermata d'arresto, appiattendosi e monotonizzandosi (esiste questa parola?), eccezion fatta per pochi brani efficaci (Slow Motion, Last Night at the Jetty...). Nel complesso la noia sovrasta...