dEUS
The Ideal Crash
Il vero grande Handicap - o neo, che dir si voglia - dei dEUS, è la loro nazionalità. E' l'essere belgi. Essere originari dell'Europa continentale che è un pò la panchina del rock, mentre i titolari sono tutti residenti dall'altra parte della manica.
Perchè ? Semplicemente perchè le qualità che da quasi vent'anni (Worst Case Scenario sarà vecchio di un ventennio tra 3 anni) caratterizza le loro fatiche in studio (per la verità in fase calante da qualche anno a questa parte, ma comunque sempre di pregevole fattura) ed i loro impeccabili
Live, meriterebbero una platea ed una risonanza mediatica assolutamente superiori a quelle che attualmente gli vengono riservate.Del resto non si potrebbe pensare diversamente di una band che nell'ultimo decennio del secolo ha messo a segno due colpi pesantissimi nell'economia dell'indie-rock europeo e non solo, ovvero quel disco d'esordio sopra citato che in quanto ad influenza e freschezza non aveva - e non ha - nulla da invidiare ai lavori di più blasonati colleghi e l'album di cui parleremo in queste righe che è tuttora considerato una raccolta di pezzi memorabili magicamente sospesi tra oniricità, surrealismo e realtà.
Mai come nel caso dei dEUS l'appellativo di "combo" o "collettivo" è azzeccato : i primi tre dischi hanno convissuto con diverse e controverse cambi di line-up che inequivocabilmente hanno lasciato il segno anche tra i solchi delle registrazioni.
Proprio in questo aspetto risiede il segreto della commovente riuscita di "The ideal crash".
Un disco che se non fosse per l'inconfondibile timbro vocale di Tom Barman e per alcuni impercettibili segni di continuità nella proposta musicale (i controtempo ritmici, l'affascinante nonsense delle liriche, le chitarre avvolgenti), sembrerebbe scritto, suonato e registrato da una band diversa.Ed è qui che si dividono molti estimatori della band : chi ama incondizionatamente le partiture folli, elettriche e martellanti di Worst Case Scenario (di cui "in a bar, under the sea" rappresenta una convincente evoluzione),difficilmente andrà d'accordo con chi non riesce a fare a meno dei sentimenti avvolgenti, ovattati e densi di "The Ideal Crash".
Oltre che per la mirabile scrittura che caratterizza i dieci pezzi del disco - mai troppo ruffiani, mai troppo introversi - , "The Ideal crash" è di fondamentale importanza per quel tipo di ascoltatore che abbina l'esperienza sonora prima che all'aspetto critico a quello emozionale.
Un rock che giustamente ha nei dEUS tra i migliori interpreti della variante "art", dove l'interpretazione vocale è una recitazione quasi tetrale ed il canto si fa quindi portavoce sofferto del pathos che trasuda dall'impianto ritmico e sonoro.
Non renderebbe giustizia ad un disco di questa portata citare dei singoli episodi, anche perchè sarebbe scontato ricordare che "The Magic Hour", "Instant Street" e "Magdalena" sono autentici inni pagani in formato canzone all'interno di liturgie che evocano fantasmi scomodi portatori di sofferenze per i sentimenti che bagnano la nostra anima.
"The ideal crash" (indimenticato ultimo frutto del rimpianto connubio Barman-Ward) è un diamante dagli angoli smussati, la cui punta più accecante è quel fin troppo sottovalutato Tom Barman capace di colpire, baciare e accarezzare senza ch'egli conceda la possibilità all'ascoltatore di capire quale tra queste opportunità sia la più necessaria.
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