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R Recensione

5,5/10

Panda Bear

Panda Bear Meets The Grim Reaper

Distano, ormai, i tempi in cui “Person Pitch”, bailamme folle di psichedelia a bassa fedeltà, consacrava tutto un filone new weird in ansiosa ricerca di nuovi padri putativi. Si aggiunga che, solo due anni dopo, gli Animal Collective rilasciarono il loro capolavoro, “Merriweather Post Pavillon”: così si può comprendere più a fondo il mito che, quell’accoppiata, è riuscita a creare, nel tempo, entro i solchi dell'indie contemporaneo.

Oggi Noah Lennox, dal suo ritiro lusitano, dopo la prova scialba di “Tomboy” torna con “Panda Bear Meets The Grim Reaper”: concettualmente, un incontro ravvicinato con l’idea di morte (solo qualche mese fa, via un approccio e un'estetica totalmente diversa, si è cimentato con eccellenti risultati anche Flying Lotus, in “You’re Dead!”), in un’allucinazione sinestetica in cui l’identità si dissolve in un magma di loop, entro cui ribollono e fioriscono strutture sintetiche e blocchi di armonie in traiettorie psych

Un caleidoscopio di strati in oscillazione su fluidi pesanti, dove i soli beat sembrano cercare un baricentro senza limitare le esplorazioni. Rispetto al metodo usato con gli Animal Collective, qui Lennox punta meno allo sviluppo dei brani, sì ad una compattazione (reiterata) di blocchi sonori in parallelo: siamo più su certe cose di “Centipede Hz”, per intenderci.

Il risultato sono oggetti bizzarri, più che pezzi: a partire dal passo melmoso di “Mr. Noah”, passando per  il mantra insozzato da scorie di “Boy Latin” e finendo con l’anthem sfatto di “Acid Wash”; in alcune parti il disco sembra ricercare la quiete, dato lo sforzo dalla moratoria esistenziale esplorata (l’arpeggio di “Tropic of Cancer”: ripreso da “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij), altre il taglio dance (il ‘Panda Bear meets Yeasayer’ di “Principe Real” o i synth verticali di “Selfish Gene”).

Il disco smentisce in parte l'"incapacità" (senza accezione negativa) dell'artista di dare compiutezza e una forma ben definita a ciò che manipola (“Crosswords”, “Butcher Baker Candlestick Maker”, “Come to Your Senses”: non a caso gli apici), anche grazie ad una scrittura che non sbrodola come altrove; nonostante ciò il risultato, come in “Tomboy”, più che a una qualche trascendenza weird illuminata porta a contatto con una consistente noia.

Sicché, lavoro apprezzabile per le motivazioni di ricerca musicale e di esplorazione concettuale; ma il risultato, nel suo insieme, non un granché edificante. 

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Voto degli utenti: 5,2/10 in media su 3 voti.
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Cas 5/10
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C Commenti

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Cas (ha votato 5 questo disco) alle 15:11 del 23 gennaio 2015 ha scritto:

Ancora mi stupisco di come mister Lennox abbia dato alle stampe un discone come Person Pitch: dopo quello, il nulla o quasi. Questo lavoro non risolleva certo le sorti del progetto Panda Bear. Fatta eccezione per la bellissima Mr.Noah il resto è noia che riproduce se stessa. Un album povero povero, insomma. Recensione centratissima

hiperwlt, autore, alle 15:38 del 23 gennaio 2015 ha scritto:

Nessuno degli Animal, fuori dal collettivo, riesce davvero ad esprimersi sui livelli del gruppo (specie Avey Tare, sconclusionatissimo). Lennox, come scrivevo, ha davvero goduto del Mito (e i miti portano ad idealizzare oltremodo) di quel periodo - dal 2007 al 2009. Anzi, ne sta ancora traendo vantaggio - si veda, al solito, Pitchfork.