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R Recensione

7/10

Colin Edwin, Lorenzo Feliciati, Roberto Gualdi

Twinscapes, Vol. 2: A Modern Approach To The Dancefloor

Il tempo dei bilanci attraversa, ciclicamente, le vite di tutti, compresse fra la necessità di dare un senso al presente e la tentazione del rifugio in un passato che, anni dopo, appare come un’isola (più) felice. Su “Twinscapes, Vol. 2: A Modern Approach To The Dancefloor”  Lorenzo Feliciati e Colin Edwin, entrambi bassisti di comprovata fede prog e jazz rock, fanno qualcosa di simile, evocando un periodo ormai lontano del proprio apprendistato musicale come gli anni ’80 per integrarlo in un linguaggio in evoluzione verso una nuova dimensione arricchita dai tanti anni di successive esperienze. Come un’onda che abbraccia passato remoto, prossimo, si abbatte sul presente e lancia qualche spruzzo sul futuro, nel disco convivono echi di King Crimson e Mahavishnu Orchestra, fanno capolino le trame wave di Japan, Joy Division e Cure ed, inevitabilmente, confluiscono i modi dei Porcupine Tree o le multiformi avventure di Feliciati in casa RareNoise, da Naked Truth a Berserk!.

L’insieme si differenzia in modo sostanziale dall’opera prima, che nasceva sotto l’ala protettrice di Bill Laswell e si avvaleva di ospiti autorevoli come il trombettista Nils Petter Molvaer: se quello era un riuscito esempio di session estemporanea, sviluppata su solide basi prog elettroniche, il nuovo progetto pare rivolto alla ricerca di un’identità maggiormente distintiva, confermata anche dall’inclusione e dal ruolo assunto in pianta stabile dal percussionista Roberto Gualdi, che sposta le coordinate verso forme meno cerebrali ed in alcuni casi più accattivanti. Un disegno più originale, ma con un equilibrio fra forma e sostanza talvolta sbilanciato a favore della prima. E’ il caso di episodi come l’iniziale “Tin Can”, agile ma sterile esercizio ritmico melodico, o di “The (Next) Level Thing”, un po' compiaciuta della propria anima melodica. Altrove l’efficacia compositiva, assume maggior rilievo e partorisce piccoli universi sonori che sembrano puzzles di passato, presente e futuro, come l’incontro fra il perentorio groove e le voci gregoriane di “Severing Suns”, le peculiari fusioni ambient dub/prog di “Severing Suns”, con un gioco incrociato dei bassi, lirico e ritmico, davvero indovinato, e le progressioni post rock di “In A Daze” e della conclusiva “Heat Collision”, dove i Cure sono velatamente evocati.

Non mancano numeri più vicini alle radici prog crimsoniane come “Future Echo” e “Precipice”, con i fiati di Reuben Balch, mentre “The Ghost Of Tangier” è una piccola sinfonia di percussioni riservata alla versatile vena del batterista Roberto Gualdi, a tutti gli effetti coprotagonista con un lavoro ricco di inventiva. Tante cose diverse su questo “Vol. 2”, insomma, ed una personalità, ovviamente “doppia”, che gradualmente sta acquistando concretezza.

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