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R Recensione

6,5/10

Jameszoo

Fool

Destrutturare il jazz può apparire un ossimoro: la libertà dalle forme e l'improvvisazione sono caratteristiche proprie della musica afroamericana, ed oltre il free è difficile immaginare. Se però il punto d’osservazione è collocato all’esterno, e l'intento è proporre una lettura fuori contesto dei modi espressivi tipici del linguaggio jazz, gli esiti possono diventare imprevedibili. Approccio che sembra appropriato a descrivere un disco di jazz prodotto da uno che il jazz non  lo sa (o non lo vuole) suonare, ovvero lo sperimentatore sonoro olandese Mitchel Van Dinther in arte Jameszoo.

All’interno di "Fool", si ha l’impressione che scampoli di linguaggio jazz, selezionati e liofilizzati, siano stati espansi esponendoli al calore di ritmi e noise elettronici, scelti talvolta con accuratezza, altra senza alcun criterio discernibile. I risultati, nei casi meno riusciti, consistono in brevi ed originali jingle in chiave funk soul infarciti di noises e blips (“Flake”) che, nelle realizzazioni migliori, lasciano intravedere qualche spiraglio di musica possibile.

Non è semplice seguire le traiettorie mentali di Jameszoo, soprattutto nei casi in cui una fisionomia definita viene rapidamente smentita dall’alternanza di climi, oppure la musica  svanisce di colpo in un silenzio totale. Prendete “Soup”, che parte con alcuni accordi di chitarra jazz, esibisce un riff di tastiere su base downtempo, passa ad un selvaggio solo di sax per poi svanire in un ticchettio prima di alcuni secondi di …nulla.  Oppure “Flu”: solo di batteria iniziale, tastiere elettro-soul che disegnano un motivo al limite del banale, inserto bossa nova condotto dalla chitarra dello specialista Arthur Verocai e finale in crescendo sui piatti. O ancora “Theet”: arpeggi di violino che salgono fino a dissolversi ed una decina di secondi di sax. Poi, anche qui, stop improvviso.

Altrove s’incontrano pezzi per sola batteria (“Wrong”), organi avvolgenti e solo di sax scanditi su una base ritmica ossessivamente cadenzata (“Meat”), un riff rubato ai Police e piazzato su una base ritmica degna di Aphex Twin (“Crumble”). La palma dell’originalità va a “Lose”, creatura che si sviluppa, dopo un’ introduzione di sornioni e scuri syhnts, in una marcetta pullulante di tastiere giocattolo, prima di approdare ad una fase ambient popolata da inquietanti sciabole di suono, ed a “Toots”, che segue uno sviluppo analogo, mutando una marziale parata di tastiere in un concitato solo di batteria ed organo. Su versante più intellegibile sta invece “The Zoo” che ospita un vero pianista jazz come Steve Kuhn, per un’improvvisazione al piano elettrico su ritmica dinamica e multi percussione, che finisce in bossa nova con un breve inserto cantato. E collochiamo su questo lato anche le reiterate ondate d’organo che si accumulano sul finale di “Virus”, creando una  tensione drammatica soffocante fino ad implodere nella distorsione.

Fool”, messi da parte i tentativi d’approccio basato sulla razionalità, può essere apprezzato per gli intenti, anche se in parte frustrati dagli esiti, e per la capacità del suo creatore di operare un lavoro di intarsio della sintassi jazz all’interno del vocabolario elettronico. Non proprio “The Shape of Jazz to Come”, ma un tentativo originale.

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