Jameszoo
Fool
Destrutturare il jazz può apparire un ossimoro: la libertà dalle forme e l'improvvisazione sono caratteristiche proprie della musica afroamericana, ed oltre il free è difficile immaginare. Se però il punto dosservazione è collocato allesterno, e l'intento è proporre una lettura fuori contesto dei modi espressivi tipici del linguaggio jazz, gli esiti possono diventare imprevedibili. Approccio che sembra appropriato a descrivere un disco di jazz prodotto da uno che il jazz non lo sa (o non lo vuole) suonare, ovvero lo sperimentatore sonoro olandese Mitchel Van Dinther in arte Jameszoo.
Allinterno di "Fool", si ha limpressione che scampoli di linguaggio jazz, selezionati e liofilizzati, siano stati espansi esponendoli al calore di ritmi e noise elettronici, scelti talvolta con accuratezza, altra senza alcun criterio discernibile. I risultati, nei casi meno riusciti, consistono in brevi ed originali jingle in chiave funk soul infarciti di noises e blips (Flake) che, nelle realizzazioni migliori, lasciano intravedere qualche spiraglio di musica possibile.
Non è semplice seguire le traiettorie mentali di Jameszoo, soprattutto nei casi in cui una fisionomia definita viene rapidamente smentita dallalternanza di climi, oppure la musica svanisce di colpo in un silenzio totale. Prendete Soup, che parte con alcuni accordi di chitarra jazz, esibisce un riff di tastiere su base downtempo, passa ad un selvaggio solo di sax per poi svanire in un ticchettio prima di alcuni secondi di nulla. Oppure Flu: solo di batteria iniziale, tastiere elettro-soul che disegnano un motivo al limite del banale, inserto bossa nova condotto dalla chitarra dello specialista Arthur Verocai e finale in crescendo sui piatti. O ancora Theet: arpeggi di violino che salgono fino a dissolversi ed una decina di secondi di sax. Poi, anche qui, stop improvviso.
Altrove sincontrano pezzi per sola batteria (Wrong), organi avvolgenti e solo di sax scanditi su una base ritmica ossessivamente cadenzata (Meat), un riff rubato ai Police e piazzato su una base ritmica degna di Aphex Twin (Crumble). La palma delloriginalità va a Lose, creatura che si sviluppa, dopo un introduzione di sornioni e scuri syhnts, in una marcetta pullulante di tastiere giocattolo, prima di approdare ad una fase ambient popolata da inquietanti sciabole di suono, ed a Toots, che segue uno sviluppo analogo, mutando una marziale parata di tastiere in un concitato solo di batteria ed organo. Su versante più intellegibile sta invece The Zoo che ospita un vero pianista jazz come Steve Kuhn, per unimprovvisazione al piano elettrico su ritmica dinamica e multi percussione, che finisce in bossa nova con un breve inserto cantato. E collochiamo su questo lato anche le reiterate ondate dorgano che si accumulano sul finale di Virus, creando una tensione drammatica soffocante fino ad implodere nella distorsione.
Fool, messi da parte i tentativi dapproccio basato sulla razionalità, può essere apprezzato per gli intenti, anche se in parte frustrati dagli esiti, e per la capacità del suo creatore di operare un lavoro di intarsio della sintassi jazz allinterno del vocabolario elettronico. Non proprio The Shape of Jazz to Come, ma un tentativo originale.
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