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7/10

Mauro Ottolini Sousaphonix

Musica per una società senza pensieri

Questo disco è un viaggio, che parte da Borgo Valsugana, in Trentino, e, passando dall’Oriente, Parigi, l’Ucraina, l’Egitto, la Finlandia e gli Stati Uniti, approda per ora ad Haiti ma già promette ulteriori mete. Conducente Mauro Ottolini, alla guida della sua multiforme creatura Sousaphonix, reduce dall’immersione nel dixieland rivisitato del progetto “Bix factor” e lanciato questa volta in un viaggio geografico fra i suoni  del mondo, alla ricerca di “una musica che raccolga dentro di sé tutto il paesaggio sonoro della civiltà in cui viviamo, dai suoni della pietra a quelli del mare”.

Lo spunto per la “Musica per una società senza pensieri”, il cui catalogo sarà completato da un secondo volume in uscita il prossimo giugno, arriva da una visita ad una antica fabbrica artigianale di armonium, dove “Otto” scopre una foto  virata seppia della “Orchestra della società senza pensieri" risalente al 1921 : vi compaiono, sotto il titolo evocativo, i membri di una banda di paese, con i loro strumenti e qualche bambino.

Lo spunto è irresistibile per una ricerca storica su componenti e l’ attività dell’ensemble, che risulta una curiosa combinazione di lavoro e svago: i suoi membri giravano per le campagne offrendo la propria manodopera per la vendemmia o la mietitura ed, a lavoro finito, la sera, offrivano concerti danzanti per le famiglie dei contadini che li ospitavano .

L’immaginazione di Ottolini e dei suoi accoliti ha costruito su questo canovaccio storico, reinterpretando lo spirito dell’Orchestra a distanza di quasi un secolo, un itinerario musicale dai collegamenti inusitati, che balza da un Duke Ellington latino,“What else can yo do with a drum”, ad un condensato di un poema lirico della cantante egiziana Oum Kalthoum, “Sirt El Hob, dalla “Lullaby” di  Shostakovich, protesa in una contorta coda rock,  a composizioni tradizionali, alternando linguaggi musicali e lingue diverse in una modalità  che ricorda alcuni recenti pastiches multiculturali di  Daniele Sepe .

La musica non è facilmente etichettabile, e la matrice jazz dei musicisti diventa solo una delle molteplici componenti che nutrono il repertorio, con una band pronta a qualsiasi direzione e ricca di voci, da quella umana di Vanessa Tagliabue Yorke, che alterna con disinvoltura inglese, francese, finlandese ed altri idiomi, ai numerosi strumenti  animati, fra gli altri, da Dan Kinzelman (fiati), Paolo Botti (violino), Vincenzo Vasi (theremin e voce mannara), Enrico Terragnoli e Peo Alfonsi(chitarre) Titti Castrini (fisarmonica), Zeno De Rossi (batteria) e Danilo Gallo (basso) e dal conduttore Ottolini.

Si ride e si danza (con il Giappone da cartolina di “Febbre gialla”, la cavalcata country di “My indian red” o il viaggio nella giungla di cartoni animati di “Chubanga”), ci si immerge in territori scuri e vellutati con le risonanti chitarre di “De cara a la pared” ballata sudamericana della cantautrice Lahsa De Sela, e ci si commuove, alla fine  con il coro “Noel” cantato dai bimbi del  Centro Salesiano di Port Au Prince – Haiti, una registrazione sul campo fatta con mezzi di fortuna che parla al cuore in maniera semplice e diretta.

Al termine del viaggio si arriva un po’ ebbri e sazi di tanta musica dal mondo, ma già si aspetta impazienti la nuova partenza.

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