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R Recensione

8/10

IQ

The Wake – Live At De Boerderij, Zoetermeer, Holland, 2010

Gli IQ fanno un passo indietro. Un passo indietro di 25 anni. Nel 1985 vedeva la luce un album che, seppur immerso fino al midollo nella New Wave Of Progressive Rock, è riuscito a demarcare un territorio, ponendosi come un manifesto-spartiacque, in cui convergevano tanto le caratteristiche del prog Anni ’70 (nella scelta di composizioni dal lungo respiro, nel lirismo di tastiere e chitarre, nella teatralità nel cantato), quanto le influenze dell’allora contemporanea New Wave (qualcuno ha mai fatto caso quanto gli atteggiamenti sonori dei Magazine di Howard Devoto fossero presenti negli IQ?).

Questa influenza reciproca fra stili così distanti ha permesso agli IQ di travalicare il classico citazionismo dei Genesis di cui viene tacciato il new prog e di superare, a distanza di solo due anni, diversi cliché presenti nell’album di esordio “Tales From The Lush Attic”. E così “The Wake” ha rappresentato il perfetto manifesto di un limbo spazio-temporale musicale, oltre il quale alcune band decisero di scegliere definitivamente la modernità (raramente riuscendo però a lasciare un segno), mentre altre spinsero l’acceleratore sulla rievocazione storica (mantenendo così stretto a sé uno zoccolo duro non in grado di rinnovarsi nei gusti e quindi facile da appagare).

Anche in una scelta di campo così profonda gli IQ hanno scelto un po’ entrambe le traiettorie arrivando a partorire nel 1998 un grande classico “concept album” su doppio CD, “Subterranea”, pieno di idee, ispirato, antico e nuovo allo stesso tempo. Ecco, tutto anche oggi si svolge attorno a questo senso di umile attinenza ad un mondo musicale fatto di tastiere facilmente tendenti all’assolo (da qualche anno Martin Orford non è più nella line-up), chitarra lirica (Mike Holmes resta a cavallo tra Andrew Latimer, David Gilmour e Steve Hackett), voce molto teatrale (anche se Pete Nicholls è sempre più che dignitoso come artista e come singer), basso energico (l’apprezzabile John Jowitt), batteria (Paul Cook) desiderosa di cambiare più volte tempo nel corso di una stessa canzone.

Tutto molto tipicamente prog. E devo essere sincero: davanti ad una tale caparbietà, davanti ad una tale veridicità di spirito, quale bisogno si può trovare per contrattaccare una tale impostazione, onesta fino in fondo? Ho sempre ravvisato negli IQ questo senso di probità morale e stilistica; poi qualche scampolo di “modernizzazione” lo si è sempre rinvenuto nei loro lavori, fino ad oggi. In “The Wake” tutto funzionò e funziona al meglio. L’occasione è dunque perfetta per celebrarlo, prima attraverso un cofanetto zeppo di inediti e di versioni demo, e poi in questo live estratto da una performance integrale del disco, che ha avuto luogo in Olanda nel Giugno di questo 2010: anche oggi che i miei gusto sono sostanzialmente mutati incorporando (anzi preferendo) cose decisamente antitetiche a quel prog che amai nella mia prima adolescenza, sentire Widow’s Peak mi provoca emozionalmente delle sensazioni uniche, in grado di catturare tutti miei sensi.

Ma “The Wake” è uno di quei lavori da ascoltare tutto di un fiato, dall’iniziale pulsazione di Outer Limits fino all’epica cavalcata conclusiva di Headlong. La semplice confezione contiene un CD con tutte le tracce del lavoro di venticinque anni fa (eseguite in rigorosa perfezione, senza stravolgere alcuna nota, nonostante Mark Westworth sostituisca Martin Orford alle tastiere), mentre il DVD aggiunge anche gli encores (Infernal Chorus e Failsafe dal citato “Subterranea” e The Darkest Hour da quel gioiellino di “Ever”, 1993). La regia è essenziale e fa quello che può, con le sole quattro telecamere a disposizione, per restituire un documento visivo professionale. Gli spettacoli degli IQ sono comunque messi in piedi da un fedele team molto affiatato che anche su palchi angusti sa realizzare, attraverso un light show d’effetto e delle proiezioni molto curate, uno spettacolo suggestivo. Mi rendo conto che è difficile proporre oggi un prodotto che non può forse essere compreso senza averlo vissuto sulla propria pelle, sulla pelle di un quindicenne dell’epoca (1985) che scopriva tutto solo con il passaparola, eppure mi sento in dovere di provare a farlo, nonostante tutto, nonostante questo nostro tempo presente sembra non avere più spazio per l’onestà indie di una band che in qualche modo ha messo al mondo delle sonorità uniche, immediatamente riconoscibili, in modo molto più onesto di certi pseudo innovatori contemporanei. Alcuni ci facevano, altri ci erano. Ecco, gli IQ ci erano.

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brogior 10/10

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