Marillion
Marbles
The world's gone mad
And I have lost touch
I shouldn't admit it
But I have.
It slipped away while I was distracted
I haven't changed
I swear I haven't changed
How did this happen? [ ]
Il mondo è diventato matto
Ed io ne ho perso contatto
Non dovrei ammetterlo
Ma devo.
Mi è sfuggito mentre ero distratto
Ma non sono cambiato
Giuro che non sono cambiato
Come è potuto succedere? [ ]
Ci sono voluti tre anni di lavorazione per dare a "Marbles" la forma voluta ostinatamente dalla band: l'album è stato frutto dei tanti preordini (circa 13.000) che i fan di tutto il mondo hanno fatto a partire da più di un anno prima della data di release date. Un atto di amore assoluto.
Un amore ripagato con altrettanto ardore, visto che con il senno di poi ci si può riferire a "Marbles" come uno dei più suggestivi affreschi dell'epopea dei Marillion. Il disco ruota intorno al tema delle situazioni della vita che possono far breccia alla pazzia: privazioni, frustrazioni, impossibilità di realizzare i propri desideri, incapacità di esprimere in senso pieno la propria anima, l'inattuabilità di soluzioni alternative per i gravi problemi che affliggono un mondo già impazzito di per sé. Tutto ciò sembra essere racchiuso già nell'iniziale "The invisible man", uno dei migliori pezzi di tutto il lavoro, che musicalmente sembra un incrocio strano (ma riuscito) tra le sonorità della "Darkness" di Peter Gabriel, i Massive Attack e i Pink Floyd di "Shine on you crazy diamond". Invisibile è dunque l'uomo comune che è trasparente nei confronti degli organi di potere, che negano, ad esempio, la possibilità di esprimere la propria volontà di fermare una guerra ben mascherata da operazione di salvataggio.
Completa invisibilità, allo stato puro. Nel corso dell'album, trovano posto le quattro parti della title track "Marbles" (vicine, per il loro mood melanconico, ai Coldplay di "Parachutes") che hanno lo scopo di creare un collegamento ideale tra le storie raccontate: c'è il tema ricorrente dell'aver perso le proprie biglie (quelle piccole sfere con cui tutti noi - con qualche annetto sulle spalle - abbiamo giocato da bimbi), come metafora della perdita dell'innocenza e, allo stesso tempo, della ragione. In inglese infatti, "perdere le biglie" corrisponde, né più né meno, al nostro "perdere qualche rotella". Il tutto è però avvolto da un rassegnato senso di tristezza, poiché ad un certo punto le biglie sono semplicemente scomparse, senza la coscienza di quando ciò sia realmente avvenuto. Siamo "cresciuti", quindi abbiamo perso le nostre belle biglie e abbiamo smesso di ricordarci di loro. Un bel giorno. O meglio un brutto giorno, così quasi all'improvviso. Questo album verrà poi ricordato per aver concesso ai Marillion di entrare nuovamente nella top ten inglese con un singolo, "You're gone", costruito su di una base percussiva programmata, ma imbellito da riusciti inserti chitarristici e da una maiuscola performance vocale di Steve Hogarth.
Per quanto mi riguarda, il disco continuerà a chiamarmi per nome utilizzando perle lucenti come la già citata "The invisible man", la maestosa "Ocean cloud" (inspiegabilmente omessa dal CD reperibile nei normali negozi) e limmaginifica "Neverland". Rispettivamente: quattordici, diciotto e dodici minuti. Della prima abbiamo ho parlato; la seconda è la colonna sonora per la narrazione della affascinante, ma drammatica, traversata atlantica realizzata dal navigatore Don Allum (a cui viene ovviamente dedicato il brano), caratterizzata da lirismi in pieno stile Camel e, ancora una volta, ricca di sfumature Floydiane, ma allo stesso tempo recupera (incredibilmente) alcuni fili conduttori con i Marillion era Fish di "Forgotten sons" (da quellesordio, a suo modo, indimenticabile che risponde al titolo di Script For A Jesters Tear del 1983).
Discorso simile per la conclusiva "Neverland", che considero l'azimut assoluto di tutto "Marbles" per la capacità di esprimere nel modo più compiuto possibile tutte le idee fondanti dei Marillion dell'era Hogarth e di aprirle ad una prospettiva sonora moderna, epica eppure equilibratissima. A fare compagnia (buona compagnia) a simili gemme ci sono poi un pugno di canzoni di spessore davvero notevole come "Fantastic Place" (che mi sembra ispirata alle ballad di Springsteen), "Don't hurt yourself" (il secondo singolo), che avrebbe potuto essere interpretata alla perfezione da Chris Isaak, "Angelina", "The Damage" (che suona come se i Radiohead si votassero al prog), "Genie" (che comincia piccola piccola e che pian piano prende aria e il volo), "Drilling holes", molto vicina a certe cose recenti dei Porcupine Tree, che pure ha contribuito al missaggio di alcuni brani.
Hogarth ha realizzato con "Marbles" il proprio capolavoro testuale e vocale, nella stessa misura in cui il suo omonimo (Mr. Steven Rothery) ha ritrovato il suo ruolo centrale di chitarrista solista e di fine autore di pregevoli assoli, anche al di fuori dei soliti cliché marillici. In generale, prima del 2004 solo "Brave" (1994) poteva essere posto, ad unanime consenso dei fan, ad un livello di tale maturità artistica. "Marbles, è riuscito, con il senno di poi, a contenderne la vetta. Dave Meegan, il produttore, è riuscito ad ottenere quanto di meglio i Marillion avessero da offrire a oltre vent'anni dal loro esordio: selezionando con cura il tanto materiale registrato e assemblandolo con una sensibilità e una perizia unica, creando una versione ridotta (su singolo cd per i negozi) e una versione di maggior respiro (e significato). Ha davvero meritato il titolo onorario di sesto membro dei Marillion.
L'universo musicale è pieno di scalatori e di arditi alpinisti. I Marillion, invece, sono dei bravi funamboli e degli ottimi maratoneti. Equilibrio, determinazione, fiato lungo. Cosa pretendere di più da loro?
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