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R Recensione

9/10

Gentle Giant

Acquiring The Taste

Non trascorrono dodici mesi dal convincente esordio, che il Gigante Gentile sforna “Acquiring The Taste”. Già dalle note di copertina, la band precisa che questo nuovo disco è spinto verso confini sonori sperimentali, ben più accentuati del precedente omonimo lavoro. Il tentativo è quello di espandere all’estremo i confini della musica popolare. Quest’analisi introduttiva trova pieno riscontro nei contenuti del disco. Lo stile è immensamente cresciuto, come chiara prosecuzione di “Gentle Giant”. La ricchezza sonora, decisamente ampia, è ben più legata e meno frammentaria che in passato.

Finalmente l’omogeneità è un fattore rilevante nella musica del gruppo. Non solo brani che intersecano all’interno stravaganti e geniali jam sessions, ma strutture armoniche ben disegnate e miscelate da arrangiamenti pressoché perfetti. L’aria straordinariamente affinata che si respira, in generale, ascoltando in sequenza i brani del disco è rarefatta ed oscura, le improvvise incursioni strumentali e le contaminazioni, tanto care allo stile del gruppo, non scalfiscono questa celestiale e surreale sensazione di essere avvolti nel pensiero e nell’immaginazione.

Anche l’infinita gamma strumentale, che passa da fughe di vibrafono a clarinetti e violini, oppure da moog, mellotron e fiati, non è mai casualmente cesellata all’interno dei pezzi componenti questa straordinaria collezione. Non solo le musiche si fanno meno irriverenti e facili ma anche i concetti ne seguono saldamente la tendenza. L’intera opera è dedicata, a detta dello stesso Phil Schulman, alla scarsa competenza che regna nell’industria musicale, spesso legata ai soli risultati commerciali, badando poco alle forme d’arte meno immediate. Proprio la lingua di copertina è rivolta ad “Acquiring The Taste” e cioè ad “assaggiare il gusto” del fantomatico deretano dell’universo discografico, reo di privilegiare gli artisti che accettano ogni compromesso.

Tutta questa ira è senza dubbio risultante dal fatto che l’omonimo disco d’esordio ha patito non poco, a livello di vendite, la scarsa promozione effettuata dai discografici. Quale vendetta migliore se non quella di sfornare e pubblicare un lavoro come questo, che poco ha da spartire con il facile menage del mondo delle classifiche? Ma contrariamente a quanto molti supponessero alla vigilia, il disco riceve strepitose recensioni dagli organi del settore e confortanti risultati di vendite a dimostrazione che la qualità del prodotto rimane la cosa più importante anche dove si vendono dischi. Da molti è tuttora considerato il loro lavoro meglio riuscito. Già dal brano iniziale del disco “Pantagruel’s Nativity” le coordinate espressive raggiungono vette vertiginose. I contenuti fiabeschi del brano si riferiscono alla mitologia francese e precisamente al libro “Gargantua e Pantagruele”  di Francois Rabelais. Nel brano la nascita di Pantagruele figlio del grande gigante Gargantua è descritta con gioia e gloria. L’apertura molto raffinata e folk dove mellotron, flauto e vibrafono fanno da inconsueto scenario alla spettacolare interpretazione vocale di Kerry Minnear è sorretta, in seguito, dal consueto e funambolico inciso basato su un potente accordo chitarristico ben stretto dalla tromba di Phil Schulman, dall’inconfondibile armonia cromatica corale e dai preziosismi strumentali, che appaiono come piccoli folletti che saltellano divertiti.

Arrangiamenti sottili ed estremamente più elaborati in “Edge Of Twilight” brano tra i più riusciti dell’intera discografia del gruppo e che ben descrive la linea adottata per la stesura dell’intero album. Un collage di sezioni strumentali incredibile, che rimanda nelle prime quattro note del brano a “The Queen” pezzo dell’album omonimo del 1970 che riprendeva, in versione strumentale, l’inno nazionale inglese. Il canto ancora eseguito da Kerry Minnear è sublime nella sua dolcezza e nella sua spettacolare apertura. Il brano descrive la sensazione di misteriosa quiete che si avverte al crepuscolo. Le pagine musicali sembrano sospese a mezz’aria, tenute in piedi dalle interessanti percussioni di Smith e dalle arie di violino che si sostituiscono delicatamente e sorprendentemente alle tastiere, mellotron, al moog e al pulsare del basso di Ray Schulman.

Un autentico viaggio planetario nel mondo del più originale progressive rock. “The House, The Street, The Room” segue con ritmo più deciso e dissonante spiegando la conflittualità interiore dell’uomo che sceglie I luoghi più comuni della vita di tutti i giorni, dove esaminare la propria esistenza. La voce solista passa in questo brano a Derek Schulman che ben si destreggia su confini più rock. Gli inserti strumentali sono quasi maniacali in questo brano, si susseguono con passo inizialmente lento ma progressivamente sempre più rapido e toccando tutta l’intera scala delle note musicali, fino a sfociare in un folgorante assolo elettrico di Green per poi chiudersi nuovamente con l’intro cantato. Il breve strumentale “Acquiring The Taste”  è un pezzo ideato e suonato da Kerry Minnear che si destreggia al meglio con il suo moog in un classico esercizio sonoro accattivante ed originale.

Wreck” è un’altra ottima rappresentazione della marcata svolta stilistica e sperimentale dei Gentle Giant. Cantata ancora da Derek, ma raggiunta magistralmente da Minnear nella parte centrale del brano, descrive la morte dell’equipaggio di una barca e dell’impietosa sorte che il mare rivolge ai corpi del relitto. Dopo le due battute iniziali, si apre un insolito e vigoroso riff di chitarra che coinvolge e trascina immediatamente ad un’aria, dolcemente aperta da clavicembalo e violoncello e che riporta a leggiadre ritmiche. Lo scambio tra queste due part,i distanti tra loro come tempistica musicale, si ripete per due volte scemando quasi come se il brano intendesse concludersi. Ma ecco di nuovo una sorpresa, il brano trainato dalla sezione dolce dei fiati ricomincia e riporta il motivo al sontuoso refrain chitarristico, questa volta concluso senza ulteriori e sorprendenti soluzioni. Un autentico capolavoro di ingegno ed esecuzione.

Su lidi molto più introspettivi è la seguente “The Moon Is Down” cantata a due voci da Phil e Kerry. L’atmosfera barocca è latente in questo brano, soprattutto nell’introduzione costruita su un’interessante incastro di sassofoni, che riprendono leggermente una sinfonia del compositore classico Samuel Barber. Ma è la parte centrale del brano che, con il bellissimo rapporto pianoforte-chitarra elettrica, desta le maggiori attenzioni. Geniale il piccolo intermezzo di solo pianoforte che è ripetuto anche nel finale del brano, il quale recita un sogno affogato in un cielo rosso, dopo il calare della Luna dove si vedono cavalli ed uccelli colorati volteggiare verso il Sole. Un’altra caratteristica peculiare di questo pezzo è la frase d’esordio, che richiama parallelamente un altro brano presente nel disco.

Infatti mentre “The Moon is Down” contiene la strofa “Edge of Twilight” al suo interno, al contrario proprio il brano “Edge of Twilight” inizia con un introduzione leggiadra che ricalca l’armonia di “The Moon is Down”. È di Kerry Minnear l’idea di aprire la pacata “Black Cat” con un quartetto d’archi ed utilizzarlo più volte durante l’esecuzione del brano intersecandolo con le percussioni alla ricerca di strane soluzioni. È proprio il tocco e l’armonia di questa partitura classica che sembra imitare il passo felpato e morbido di un gatto che cammina ramingo di notte dopo un’intera e fredda giornata di pioggia. Il disco si chiude con “Plain Truth” un discreto e aggressivo pezzo, chiaramente improntato sulla chitarra di Green e sull’importantissimo apporto del violino, che ne amplifica l’altrimenti scarsa forza evocativa e la rigida stesura musicale.

Interessanti i frammenti jazzati in crescendo, accompagnati da sperimentazioni di basso e chitarra elettrica. Il brano è cantato in coro dall’intero gruppo ma riservato nel refrain al solo Derek Schulman e tratta, nei contenuti, l’imbarazzo dell’individuo nel recepire la cruda verità su argomenti scomodi ed ingombranti. Un album straordinario.

V Voti

Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 23 voti.
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magma 9/10
rob 9/10
bart 9/10
loson 7/10
REBBY 9/10
Guzzo 8/10
rubiset 8,5/10
B-B-B 10/10
Lelling 9,5/10
brogior 10/10

C Commenti

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PierPaolo (ha votato 8 questo disco) alle 23:14 del 17 maggio 2012 ha scritto:

Ciao Cristiano

Grande disco. Recensione autoriciclata, ma tant'è, tutto fa brodo per la causa degli indimenticabili Gentle Giant.

magma (ha votato 9 questo disco) alle 19:03 del 23 maggio 2012 ha scritto:

Il mio preferito dei G.G. Davvero un capolavoro.

Alfredo Cota (ha votato 8 questo disco) alle 20:24 del 30 maggio 2012 ha scritto:

(fischio di approvazione)

Utente non più registrato alle 14:02 del 3 febbraio 2014 ha scritto:

Meraviglioso...

Paolo Nuzzi (ha votato 10 questo disco) alle 9:47 del 10 giugno 2016 ha scritto:

Capolavoro epocale. Mi sento Dalvans

Giuseppe Ienopoli alle 10:45 del 10 giugno 2016 ha scritto:

Dalvans!! ... un mito autentico che tu "non hai vissuto in diretta", un concentrato di simpatia, un van der graaf generatore automatico di giudizi basati su aggettivi lapidari che non contemplavano le mezze misure ... che lenza!

Apparve all'improvviso e monopolizzò la bacheca per pochi giorni per poi sparire nel nulla con mio sommo rammarico ... cosa non darei per un Dalvans 2 la vendetta!

http://www.storiadellamusica.it/profilo/dalvans.html ... lol ... ghgh ... hehe ... et cetera.

Paolo Nuzzi (ha votato 10 questo disco) alle 12:00 del 10 giugno 2016 ha scritto:

Da oggi in poi, solo per te, commenti lapidari da parte mia sotto ogni disco.

Giuseppe Ienopoli alle 12:43 del 10 giugno 2016 ha scritto:

No no non farlo ... Dalvans è inimitabile!

... e poi io preferisco l' arzigogolato a gogò alla stitichezza di giudizio, in musica valgono le stesse regole che in amore ... "rapporti/report" lunghi, soddisfacenti e duraturi anche a discapito della freschezza che apprezzo di più nel pesce e nella mozzarella.

tonysoprano (ha votato 10 questo disco) alle 20:24 del 10 giugno 2016 ha scritto:

L'ho ascoltato circa 4 giorni fa: CAPOLAVORO DEL PROGRESSIVE ROCK.

brogior (ha votato 10 questo disco) alle 11:26 del 23 febbraio 2018 ha scritto:

Ma quando vi decidete ad recensire un altro Patrimonio UNESCO come In a Glass House, il fantastico The Power and The Glory e gli ottimi Free Hand e Interview?

PehTer alle 21:51 del 24 febbraio 2018 ha scritto:

Ti ci puoi cimentare tu